Jane Fraser ha scritto la storia quando a febbraio ha assunto la guida di Citigroup, una delle più grandi quotate a Wall Street. Nell’ufficio di Lower Manhattan, Fraser ha una mappa di Puerto Rico realizzata con gli alberi abbattuti dall’uragano Maria che nel 2017 ha devastato l’Isola. Per lei, racconta il New York Times, quella mappa è una sorta di memento, che riassume la sua missione: riportare l’ordine nel bel mezzo del caos. Un lavoro duro, ma qualcuno dovrà farlo. Tra i guai di Citigroup, l’obbligo di pagare una multa da 400 milioni di dollari per aver condotto per anni operazioni bancarie non sicure.
Ma Fraser non è l’unica donna ad aver avuto successo nel mondo della grande finanza. A novembre 2019, Alison Rose è diventata il numero uno del NatWest Group, gruppo britannico impegnato a offrire sostegno tangibile alle donne intenzionate a fare business. Nello stesso anno, Suni Harford è diventata la prima presidente donna dell’UBS Asset Management, una delle maggiori case di investimento in Europa, il maggiore gestore di fondi comuni di investimento al mondo. A gennaio 2020, Stephanie Cohen ha scalato varie posizioni in Goldman Sachs conquistando la pole position tra i possibili nuovi amministratori delegati della grande banca di affari. Figure a cui ispirarsi, esempi brillanti. Eppure, casi ancora isolati di donne riuscite a rompere il “soffitto di cristallo”. Donne così spingono ad avere fiducia nel cammino verso la conquista della parità di genere. È indubbio che tanto è cambiato, ma molto resta da fare.
Secondo i dati relativi al 2019 raccolti da McKinsey, le donne rivestono solo il 10 per cento dei ruoli di rilievo nelle società di gestione degli investimenti che forniscono sostegno finanziario, nonostante rappresentino quasi il 50 per cento della forza lavoro in entrata. Non va certo meglio in altri campi.
Nella classifica stilata dall’Economist per il 2021, su 29 nazioni considerate, sono sempre i Paesi nordici i luoghi migliori per lavorare se sei donna. Nessuna sorpresa per Giappone e Corea del Sud, dove la parità di genere è ai livelli più bassi tra i Paesi industrializzati, rispettivamente alla posizione 28 e 29. L’Italia è tredicesima, dopo ci sono Ungheria e Spagna, e soprattutto Stati Uniti, solo diciottesimi.
La pandemia da Covid-19 rischia di rallentare seriamente i progressi raggiunti sull’uguaglianza di genere e di compromettere i diritti acquisiti dalle donne nei decenni scorsi. È stato il monito della cancelliera tedesca Angela Merkel. Sono soprattutto le donne ad aver cura dei bambini costretti a stare a casa e a svolgere lavori considerati a rischio, anche in ambito medico e sanitario. Le donne sono le più colpite dalle conseguenze dell’attuale emergenza socio-economico-sanitaria, ha spiegato la cancelliera. Facile capire perché: perdono più facilmente il lavoro e faticano ad avere accesso ai servizi sanitari di base.
“International Women’s Day 2017 – Official Commemoration at UNHQ” by UN Women Gallery is licensed under CC BY-NC-ND 2.0
Redazione
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