Esistono questioni che hanno risposte difficili. Da quasi un anno viviamo dentro una pandemia, nel dubbio fra il primato della salute per evitare un massacro, e la necessità di non fermare l’economia per non avere una devastazione sociale. E continuiamo a non avere una risposta chiara.
Quella estrema di Donald Trump e Jair Bolsonaro a favore dell’economia, negando il contagio, è stato un disastro. La soluzione contraria – fermare un paese senza chiedersi quanti poi ne pagheranno il costo sociale – la può applicare solo una rigida dittatura come quella cinese che non ammette il dissenso. La mia opinione non da esperto ma da citoyen, da persona che come voi vive da dieci mesi nella pandemia in un paese democratico e industrializzato, è che non esiste una risposta che possa accontentare tutti. Le due esigenze esistono, sono contrastati e vanno entrambe tenute in debito conto.
Alla categoria delle domande senza una risposta certa è se nelle relazioni internazionali debbano prevalere i diritti umani o gli interessi economici di un paese.
Gli esempi più attuali ma non i soli, sono i casi di Giulio Regeni, Patrik Zaki e del regime egiziano che ha assassinato il primo e tiene il secondo – egiziano ma studente in Italia – in galera da un anno senza aver formalizzato un’accusa. Il dibattito non è nuovo, da sempre lo scontro è fra morale e business. L’una o l’altro: chiudiamo tutti i rapporti economici e diplomatici con l’Egitto o ingoiamo il rospo perché gli affari sono investimenti e lavoro.
Senza scomodare Max Weber (“L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”) valori morali ed economia possono essere perseguiti allo stesso modo con un regime come quello egiziano che non è mai stato democratico ma col quale interagiamo dai tempi di Cesare e Antonio. Questo è possibile se il paese – noi – tiene la schiena dritta, se è capace di alzare la voce e di non subire la versione degli interlocutori; di ribadire che i nostri valori sono irrinunciabili senza che questo implichi la fine dei rapporti commerciali e diplomatici. È una linea sottile ma percorribile.
Per esempio. Dopo la vergognosa risposta egiziana alle notifiche della nostra magistratura agli assassini di Giulio Regeni, non ci sarebbe stato nulla di male a richiamare Gianpaolo Cantini, il nostri ambasciatore al Cairo. Per una settimana, un mese. Per dare un segnale politico serio che tuttavia non avrebbe compromesso le nostre imprese laggiù. Credo che la dignità di un paese aiuti la sua economia più del silenzio al quale abbiamo assistito. Invece i nostri governi hanno abituato troppo bene al-Sisi e i suoi scagnozzi.
Mentre i giudici del Cairo negavano di nuovo la libertà a Patrik Zaki, il presidente egiziano andava in visita ufficiale a Parigi. Le notizie alle quali è stato permesso di essere diffuse mostravano un Emmanuel Macron che affronta il tema del quale parlavamo: quella linea sottile che separa i valori morali dalle priorità economico-strategiche. “Siamo in disaccordo sui diritti umani e ne parliamo con molta franchezza”, ha detto in conferenza stampa il presidente francese, accanto ad al-Sisi. Tuttavia “non condizionerò la nostra cooperazione economica e di sicurezza a questo disaccordo…anche perché credo che un esigente dialogo politico sia più utile di un boicottaggio”.
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Pubblicato su Slow News, blog di Ugo Tramballi su Il Sole 24 Ore
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