Non si votava da quasi dieci anni in Libano, precisamente dall’estate del 2009 infatti in origine la scadenza elettorale era prevista per il 2013 ma per ragioni legate al vicino conflitto in Siria più volte lo scioglimento del Parlamento è stato rinviato.

In questo contesto già di per sé difficile data la natura complessa della società libanese domenica 6 maggio si sono svolte le elezioni generali libanesi che vedevano due blocchi principali contrapposti. Da una parte Hezbollah, Amal e FPM, partito di stampo cristiano maronita del presidente uscente Michel Aoun a formare la “Alleanza 8 Marzo”, chiamata così in ricordo dell’ 8 Marzo 2005 giorno in cui queste forze politiche si aggregarono per contrastare la cosiddetta Rivoluzione dei Cedri fomentata dagli Stati Uniti, e dall’altra il blocco “14 Marzo” formato dai sunniti di Future dell’attuale Primo Ministro Saad Hariri ed alleato delle famigerate Forze Libanesi di Samir Geagea e delle Falangi Libanesi di Sami Gemayel, partiti sorti dalle ceneri dei gruppi paramilitari cristiani attivi durante la sanguinosa guerra civile.

Per la prima volta si votava con un sistema proporzionale puro per tentare di venire a capo di un’organizzazione dello Stato che garantiva l’equilibrio politico spartendo le più alte cariche secondo criteri confessionali ma che, essendo stata concepita al tempo della decolonizzazione, non rispondeva più all’attuale composizione della società, stravolta dalla continua affluenza di profughi: palestinesi prima e siriani adesso. Il Libano infatti è lo stato che ha il maggior numero di rifugiati in rapporto alla popolazione totale.

Numerosi anche i temi sul tavolo per questa tornata elettorale: oltre ai problemi di ordine economico, di gestione delle risorse e di lotta alla corruzione tipici di tutti gli scontri elettorali ad ogni latitudine, il paese, per ragioni geopolitiche, si è trovato ad essere, suo malgrado, ago di una bilancia che coinvolge tutto il settore medio-orientale. Infatti grande risonanza durante la campagna elettorale hanno avuto sia gli esiti della vicina guerra in Siria, sia i costanti tentativi di ingerenza da parte delle potenze regionali: Iran attraverso il partito Hezbollah e Arabia Saudita con il sequestro del Primo Ministro Hariri nel novembre scorso. Non meno importante nel discorso politico libanese è stata la costante percezione di minaccia di Israele da sud, concretizzatasi in continui sconfinamenti e innumerevoli violazioni dello spazio aereo.

Proprio lo Stato Ebraico è stato uno dei primi a commentare gli esiti di queste elezioni che hanno visto un notevole balzo in avanti delle forze sciite del Partito di Dio e di Amal attraverso un tweet di Naftali Bennet, Ministro dell’Economia e dei Servizi Religiosi che ha esplicitamente minacciato il Libano di ritorsioni.

Infatti i primi risultati parlano di maggioranza assoluta raggiunta dall’Alleanza 8 Marzo con 68 seggi su 128 di un forte ridimensionamento del partito del Primo Ministro Hariri che nonostante ciò sarà riconfermato con ogni probabilità, e di una affluenza che si è attestata di poco al di sotto del 50% degli aventi diritto al voto.

Una prima analisi delle ragioni che potrebbero aver portato al trionfo, perchè di fatto con questi numeri di trionfo si parlerebbe, di Hezbollah non deve trascurare il fatto che essenzialmente intorno al partito di Hassan Nasrallah si è costruita la “pax libanese” che ha garantito un decennio di stabilità ad un paese lacerato da sempre da conflitti interconfessionali. Certamente il collante che ha prodotto risultati in senso elettorale può essere stato la lotta incessante alla corruzione portata avanti dal partito soprattutto nei distretti del sud, ma gli elementi decisivi per la vittoria in queste consultazioni sono stati soprattutto la percezione che Hezbollah garantisca quella risorsa difensiva, interna ed esterna, che lo stato libanese non ha mai assicurato e la consapevolezza che le milizie sciite addestrate dai pasdaran iraniani siano state determinanti nell’abbattimento del Califfato Islamico e nell’impedire le infiltrazioni jihadiste in Libano con la decisiva vittoria della battaglia di Qalamun.

Con questa nuova composizione del parlamento il Libano sceglie una posizione decisamente filo-iraniana nella crisi regionale e si allinea insieme al redivivo Bashar al-Assad a fianco di Teheran nello scontro con Arabia Saudita ed Israele.