Quelle dell’8 maggio in Sudafrica sono elezioni importanti. Potrebbe trattarsi dell’occasione per i cittadini di avviare un processo di rinnovamento, mettendo in discussione l’assetto politico che ha caratterizzato i primi venticinque anni di questa democrazia. L’African National Congress (ANC), partito al potere dal 1994, potrebbe aggiudicarsi una maggioranza risicata, soprattutto a causa delle feroci polemiche che l’hanno visto coinvolto negli ultimi anni. Il partito ha gradualmente perso consensi per le accuse di corruzione che hanno travolto molti dei suoi esponenti e alcune tra le più alte cariche dello Stato, tra cui lo stesso ex-Presidente Jacob Zuma. A ciò si aggiunge l’incapacità dimostrata dallo storico partito di maggioranza di risolvere alcuni dei più grandi problemi del Paese, tra cui alti tassi di disoccupazione e servizi di base ancora carenti. Dopo le dimissioni di Zuma, Cyril Ramaphosa ha assunto la guida del Paese e del partito. Durante il suo primo anno da Presidente, Ramaphosa ha tentato di risollevare le sorti del Paese e ripristinare l’immagine pubblica dell’ANC, fissando un’agenda di obiettivi piuttosto ambiziosi: ridurre la disoccupazione, attirare nuovi investitori stranieri nel Paese e garantire una distribuzione della proprietà terriera più equa. Le prossime elezioni presidenziali, in cui si presenta per un secondo mandato come candidato dell’ANC, saranno un banco di prova per scoprire se, con i suoi sforzi, è riuscito a conquistare la fiducia dei cittadini sudafricani. Un sondaggio di Afrobarometer effettuato alla fine del 2018 mostra come il numero di indecisi e astenuti sia molto alto. Nonostante ciò, molti elettori alle urne hanno dichiarato l’intenzione di votare ancora una volta l’ANC, memori di ciò che ha rappresentato per il Paese nel post-apartheid.
Dei numerosi altri partiti in corsa (quarantotto), quelli da osservare con particolare attenzione sono sostanzialmente due. Il primo è la Democratic Alliance (DA), guidata da Mmusi Maimane, primo sudafricano nero a rappresentare il partito di centro, più forte nella popolazione bianca. Rispetto all’ANC, DA si è dimostrata più moderata rispetto alla questione della proprietà terriera, chiedendo una riforma agraria che tuteli i diritti di tutti e faciliti l’accesso di nuovi beneficiari. Il secondo è il gruppo Economic Freedom Fighter (EFF), partito fondato dall’attuale leader Julius Malema, ex membro dell’ANC, che dà voce alla sinistra populista e che ha acquisito sempre maggiore consenso negli ultimi anni. L’EFF si propone di combattere la corruzione, rafforzare le politiche di housing sociale, garantire assistenza sanitaria di base gratuita e istruzione per tutti. Oggi come in passato, inoltre, Malema e i suoi sostenitori continuano a manifestare posizioni oltranziste sulla questione della redistribuzione delle terre – arrivando a invocare un’espropriazione su base razziale – e della nazionalizzazione del settore minerario e bancario.
Il clima di sfiducia ha messo in discussione anche quel sistema elettorale proporzionale scelto per la sua tendenza a garantire la massima rappresentatività di gruppi ed etnie che ben incarnava le peculiarità del post-apartheid, ma che sembra non rispondere più alle esigenze attuali del Paese, a causa del rischio di elevata frammentazione. Sul sistema elettorale sudafricano è ormai in corso un dibattito da tempo in quanto questo sembra non fornire più un diretto legame tra l’elettorato e i suoi rappresentati e quell’idea di inclusività – baluardo della nazione – per cui era stato scelto, dovrebbe forse essere rivista. Il risultato elettorale potrebbe non portare a cambiamenti sostanziali per la prossima legislatura ma dare avvio ad una importante trasformazione storica a cui il Paese non è nuovo e che sembra essere sempre più evidente.
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