Resta alta la tensione al largo delle coste orientali di Cipro, dove il 9 febbraio navi della Marina turca hanno imposto l’alt a una piattaforma di Eni impedendole di svolgere attività esplorative in un’area di competenza della compagnia italiana. Il governo di Nicosia ha denunciato una violazione del diritto internazionale da parte della Turchia. Ankara, in risposta, ha accusato Cipro di aver tagliato la parte “turca” dell’isola, situata a nord, dallo sfruttamento delle risorse energetiche offshore. L’Italia attende sperando che le acque nel Mediterraneo orientale si calmino e che il caso si sgonfi prima di avere ripercussioni diplomatiche ed economiche complicate da gestire.
I fatti
Il 9 febbraio la piattaforma di ENI Saipem 12000 si stava spostando dall’area di Calypso, nel blocco 6, al blocco 3. Qui avrebbe dovuto compiere delle esplorazioni in una zona economica esclusiva cipriota in cerca di nuovi giacimenti di gas naturale. ENI ha ottenuto dal governo di Nicosia la licenza per effettuare perforazioni in entrambi i blocchi. Nonostante ciò il viaggio di Saipem 12000 è stato interrotto da navi della Marina turca (tra 3 e 6 imbarcazioni), che hanno motivato il loro intervento parlando di «attività militari nell’area di destinazione». Saipem 12000 sarebbe stata fermata a circa 15 miglia dal punto in cui avrebbe dovuto avviare le perforazioni, chiamato Soupia. L’area si trova a circa 70 km dalla costa di Cape Greco, nell’angolo sud-orientale dell’isola.
Gli interessi di Eni nelle acque cipriote
Eni opera a Cipro dal 2013. Detiene interessi in sei licenze situate nelle acque economiche esclusive della Repubblica (blocchi 2, 3, 6, 8, 9 e 11), in cinque delle quali lavora in qualità di operatore. Nel blocco 6 si muove in partnership con la francese Total, con quote per entrambe le società pari al 50%. Lo scorso 8 febbraio ENI ha annunciato di aver effettuato una nuova scoperta di gas nel blocco 6 attraverso il pozzo Calypso 1. «Il pozzo perforato in 2.074 metri di profondità d’acqua e a una profondità totale di 3.827 metri, ha incontrato una estesa colonna mineralizzata a gas metano in rocce di età Miocenica e Cretacica – si legge in una nota della compagnia di bandiera italiana -. Calypso 1 è una promettente scoperta a gas e conferma l’estensione del tema di ricerca di Zohr nelle acque economiche esclusive di Cipro».
La reazione della Turchia
È stato questo annuncio a innescare la manovra della Marina turca. Un’azione che, in realtà, era già stata minacciata a Roma da Recep Tayyip Erdogan nel corso della sua visita del 4 e 5 febbraio. Rientrato in Turchia, in un’intervista al quotidiano turco Hurryiet il presidente turco si era detto contrario alle operazioni di ENI nel Mediterraneo orientale, definendo le attività di esplorazione della compagnia italiana «una minaccia per Cipro nord e per noi». Le preoccupazioni ventilate da Erdogan si sono presto tradotte in azioni concrete. E dopo il fermo della piattaforma di ENI nel blocco 3, a rincarare la dose è stato il ministero degli Esteri turco che si è scagliato contro il governo cipriota accusandolo di agire «in modo unilaterale […] in spregio dei diritti inalienabili sulle risorse naturali del popolo turco-cipriota».
L’annosa disputa turco-cipriota
Il caso di questi ultimi giorni è solo l’ultimo capitolo dell’annosa questione turco-cipriota. L’isola è divisa dal 1974, anno in cui è stata invasa dall’esercito turco in risposta a un colpo di Stato filo-greco. Oggi Ankara controlla la parte settentrionale dell’isola (un terzo del territorio totale), governata dalla Repubblica Turca di Cipro del Nord. Il governo di Nicosia – l’unico che gode del riconoscimento della comunità internazionale – amministra invece la restante parte dell’isola, vale a dire la Repubblica di Cipro, dal 2004 entrata a far parte dell’Unione Europea. Nonostante i ripetuti tentativi di trovare un accordo tra le parti (l’ultimo è fallito lo scorso anno), una soluzione politica a questa crisi appare ancora oggi distante. E il gas è uno dei nodi che non sono stati mai sciolti. La Turchia rivendica per il nord dell’isola lo sfruttamento dei giacimenti offshore situati nel Mediterraneo Orientale. Richiesta finora sempre respinta al mittente da Nicosia, che ospita nelle proprie acque oltre a ENI e Total altri top player del mercato energetico internazionale tra cui la statunitense ExxonMobil e l’olandese Shell.
Il contezioso, adesso, chiama in causa direttamente l’Italia. Come ha già dimostrato l’attesa visita di Erdogan a Roma, i rapporti tra il nostro Paese e la Turchia restano appesi a un delicato gioco di pesi e contrappesi in cui l’aspetto economico conta tantissimo, e non solo per gli interessi di Eni in acque cipriote. Le aziende italiane presenti in Turchia sono infatti 1.300 e secondo SACE (Servizi Assicurativi del Commercio Estero) l’incremento potenziale dell’export italiano entro il 2020 è stimato in circa 3 miliardi di euro. Numeri che dimostrano quanto sia scomodo questo caso. Una situazione rispetto alla quale l’Unione Europea non potrà limitarsi a rimanere a guardare.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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