Quella che un tempo era una armata di contadini semianalfabeti si mostra ora come uno strumento militare temibile, ben addestrato, moderno in buona parte delle sue dotazioni e con ambizioni proiettive globali. Un breve excursus attraverso le tappe fondamentali che hanno caratterizzato l’evoluzione dottrinale e la modernizzazione delle forze armate di Pechino e una panoramica sugli sviluppi futuri.
1. LO SHOCK COREANO
Nel 1950, subito dopo la vittoria sui nazionalisti nella Guerra Civile Cinese, all’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) fu ordinato di intervenire in Corea. Questa partecipazione determinò l’impatto con un genere di conflitto al quale lo strumento militare di Pechino non era affatto preparato. Esso aveva mostrato elementi di assoluta novità per i cinesi, soprattutto in relazione alla vasta meccanizzazione dello stesso e alla necessità di coordinamento tra unità e corpi distinti. L’esperienza coreana determina una prima grande revisione dottrinale. Denominata “Difendere la Patria”, questa dottrina prevede la qualificazione degli Stati Uniti d’America come nemico strategico e l’impiego dello strumento militare a contrasto di operazioni di assalto anfibio che avrebbero dovuto interessare le coste del Nord-Est della Cina. Tali concetti rimangono di fatto immutati fino al 1980, anno in cui viene implementata “Difesa Attiva”, rappresentativa di un profondo cambiamento rispetto al passato. Il nemico strategico, prima incarnato dagli Stati Uniti, ora viene identificato nell’Unione Sovietica. La forma del conflitto si configura in un massiccio assalto terrestre condotto da unità corazzate e avio-trasportate provenienti dai “3 Nord”: Nord, Nord-Est e Nord-Ovest.
Fig. 1 – Truppe cinesi partecipano alla parata a Mosca per il Giorno della Vittoria, giugno 2020
2. L’EVOLUZIONE DELLA DOTTRINA MILITARE CINESE
Con la disintegrazione sovietica del 1991 viene meno il pericolo rappresentato dall’Armata Rossa e nel 1993 viene introdotta “Vincere guerre locali in condizioni di alta tecnologia”, a oggi il nucleo dottrinale dell’apparato militare di Pechino. Ciò che realmente provoca un ripensamento delle linee guida strategico-militari cinesi è la Prima Guerra del Golfo, a seguito della quale le Forze Armate irachene vengono sconfitte da una coalizione numericamente inferiore, ma dotata di armamenti estremamente avanzati. La nuova dottrina quindi, oltre a riservare all’alta tecnologia un ruolo fondamentale, identifica come teatro operativo lo stretto di Taiwan e non guarda a un singolo nemico strategico, bensì a una molteplicità di avversari. Il cambiamento di teatro operativo sottolinea la rinnovata importanza degli spazi marittimi e, quindi, una revisione dell’attitudine prettamente continentale della Repubblica Popolare. Tale dottrina è stata perfezionata negli aggiornamenti del 2004 e del 2014, centrati sull’informatizzazione e sul concetto di jointness, ovvero la capacità delle Forze Armate di compiere operazioni militari integrate.
Fig. 2 – Un caccia Chengdu J-20 in forza alla PLAAF ritratto in occasione della manifestazione “China International Aviation & Aerospace Exibition”, Zhuhai, novembre 2016
3. L’EPL COME FORZA ARMATA GLOBALE E LA “NUOVA ERA” DI XI JINPING
Nonostante quella del 2014 rappresenti la dottrina attualmente usata dallo strumento militare di Pechino, nel 2019 è stato presentato un ulteriore aggiornamento, che individua nuovi ambiti strategicamente significativi: marittimo, cibernetico ed extra-atmosferico. Tutto ciò è in perfetta linea con gli obiettivi delineati da Xi Jinping nel 19mo Congresso del PCC, che prevede entro il 2049 il completamento del processo di meccanizzazione, informatizzazione e integrazione delle catene di comando, nonché l’acquisizione dello status di forza armata con capacità di intervento strategico globale da parte dell’EPL. Tale intento si palesa tramite diversi fattori: il dotarsi da parte delle Forze Armate di armamenti sempre più sofisticati, come ad esempio le piattaforme aeree di quinta generazione J-20 e J-31 (quest’ultima almomento non in servizio), o ancora il ruolo che la Marina riveste nelle missioni anti-pirateria nel Golfo di Aden o la realizzazione della base navale di Gibuti, passando per la costruzione di numerose infrastrutture portuali nell’ottica della “strategia del filo di perle” nell’Oceano Indiano. Potenzialmente queste ultime garantiscono alla Repubblica Popolare la possibilità di proiettare la propria potenza aeronavale lungo la cosiddetta “Via della Seta marittima” (Maritime Silk Road), così proteggendo le strategiche rotte commerciali e di approvvigionamento energetico.
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Di Francesco Lorenzo Morandi. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
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