«Le Forze Armate – ha ricordato il Capo dello Stato Sergio Mattarella nella giornata della festa della Repubblica italiana – con abnegazione, professionalità, senso delle istituzioni e spirito di servizio verso la comunità, hanno concorso, ieri, alla liberazione dell’Italia e contribuiscono, oggi, tanto sul territorio nazionale quanto nelle numerose e diversificate aree di crisi, alla realizzazione delle finalità indicate dalla Costituzione, costituendo un prezioso presidio di stabilità e sicurezza, risorsa per il progresso pacifico della comunità internazionale».
La situazione delle Forze Armate
Nel 2018, i militari impiegabili nelle missioni all’estero sono stati quasi 7.800. In Libia la nostra missione di terra deve assorbire 400 militari con 130 mezzi terrestri, ricorda il libro di Marco Giaconi “Le guerre degli altri, piccoli e grandi eserciti del mondo”, edito da Paesi Edizioni. A seguire, dopo la Libia, il Niger, dove sono impiegati intorno ai 470 militari e 130 mezzi terrestri, e le altre missioni, in Afghanistan e Iraq, missioni in cui le nostre presenze sono in fase di diminuzione.
«Tutte le Forze Armate italiane- speiga Giaconi – risentono di due condizioni di debolezza: la riduzione, spesso fin troppo drastica, dei nuovi investimenti e di quelli per il mantenimento dei mezzi, spesso obsoleti o comunque non all’altezza di quelli degli avversari, vecchi e nuovi; poi soprattutto la carenza di una prospettiva dottrinale nuova e di alto profilo. Si va dal solito peacekeeping, l’arte di non far nulla ma con tanto rumore (e altissimi costi), alla collaborazione alle operazioni internazionali, senza però interrogarsi in profondità sull’interesse nazionale vero e proprio oltre che sulle sue specifiche necessità, che non sono mai delegabili ad altri». Manca, dunque, «una sostanziale incapacità nel pensare una geopolitica autonoma».
I finanziamenti del 2019 sono eredi di tagli eccessivi: 60 milioni più altri 531 tra il 2019 e il 2032. A questi tagli – spiega ancora Giaconi – vanno aggiunti i 2 miliardi di costo del personale militare a riposo, a carico dell’INPS, mezzo miliardo per le spese indirette relative alle nove principali basi militari USA in Italia, 3 miliardi per i Carabinieri, mezzo miliardo per le Guardie Forestali tramutate in Carabinieri, quest’ultima, «una vera follia».
Giaconi ricorca anche: «Tutte le Forze Armate italiane subiranno una contrazione del 30% rispetto ai bilanci passati per le spese riguardanti le strutture operative, logistiche, formative, territoriali e periferiche di tutto il Sistema-Difesa, con una riduzione fino a 150.000 elementi del personale militare dei tre Corpi entro il 2024, una diminuzione delle dotazioni organiche del personale civile dalle attuali 30.000 a 20.000 unità, sempre entro il 2024, e inoltre il totale “riequilibrio”, termine chiarissimo nella sua genericità, di tutte le spese per la Difesa».
Le forze speciali
Nel contrasto al terrorismo internazionale le forze speciali stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante. «Le forze speciali – continua il libro – sono mobili, abituate a operare in ambienti complessi e difficili, hanno spiccate doti multiruolo e possono essere completamente gestite nei nuovi ambienti tattici della guerra attuale e futura. Altamente selezionate, agiscono in maniera quasi invisibile e sono programmate per operazioni brevi ma in profondità, raggiungendo spesso risultati di rilievo strategico. In gran parte, le forze speciali italiane corrispondono a questi criteri. Il loro habitat futuro naturale è lo scontro “ibrido”, come è partire dal 2014 nell’Ucraina orientale (Donbass), dove è in corso un conflitto tra milizie separatiste filorusse delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk e l’esercito. In particolare, nei contesti di controguerriglia e nelle azioni OPFOR (Opposing Force) i corpi speciali compiono una vera e propria azione politica divenendo protagonisti anche di una forte guerra psicologica, con l’utilizzo di tutto il ventaglio militare e tattico disponibile per penetrare e controllare a fondo il territorio nemico. E poi, andarsene senza essere visti, così come sono entrati».
Il “soldato diplomatico”, di cui si è a lungo parlato anni fa, cede oggi il posto al “soldato politico”, al gruppo militare che opera anche su tutti quei livelli di azione che, tradizionalmente, non facevano parte dello scontro militare tradizionale per come fu delineato nel 1832 da Carl von Clausewitz. Nel complesso, si tratta di corpi capaci di operare secondo i criteri del network-centric warfare, della guerra “a rete” e in rete, per il tempo strettamente necessario e con la massima rilevanza sia tattica che strategica. Sarà questa la guerra del futuro: pochi gruppi perfettamente addestrati e pienamente operativi in ambienti complessi, dove il terreno dello scontro è dato dalla sintesi di più livelli di contrasto: la guerriglia tradizionale, la propaganda, le eventuali contro-azioni dei “partigiani” locali, contro l’organizzazione politica e informativa degli avversari, per distruggere la rete nevralgica della logistica, dell’energia e delle comunicazioni del nemico.
La domanda da porsi oggi è: questo modus operandi sarà sufficiente per rispondere con efficacia alle nuove sfide che si pongono per il mantenimento della sicurezza globale? A tale quesito Giaconi risponde: «Fenomeni come quello dei foreign fighters e dei “lupi solitari” agli ordini del Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi, così come le nuove ramificazioni di formazioni post-qaediste in Nigeria, nel Sahel e nell’Africa subsahariana, sono minacce che richiedono una sviluppata capacità di prevenzione dei rischi e un aggiornamento a 360 gradi, non solo nella fase dell’addestramento ma anche sul piano strategico e operativo. La Libia, in quest’ottica, ormai da anni rappresenta un importante banco di prova, anche per l’Italia».
La guerra elettronica
La guerra cambia forma, oggi le forze e i mezzi tradizionali non sono sufficienti per affrontare i rischi posti dalla guerra elettronica, che sta guadagnando sempre di più l’attenzione degli studiosi di strategia. La Difesa italiana sta puntando all’addestramento per la guerra elettronica. Il libro di Giaconi spiega infine che in quest’ambito e per l’ELINT (ELectronic INTelligence) sono in fase di acquisizione 2 EL/W2085 israeliani utili per l’early warning (“emergenza immediata”); 9 alianti da addestramento tedeschi G-103 Twin Astir; un vecchio modello degli anni Ottanta, il LAK-17; 2 alianti da addestramento di fabbricazione lituana; l’a- liante tedesco Nimbus-4.
Foto di copertina: Quirinale, Via Twitter
Redazione
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