Nei giorni scorsi è tornato il terrore a Parigi. Sabato 12 maggio 2018, dopo le 20, in Rue Monsigny situata vicino all’Opèra e dove ci sono diversi ristoranti e locali sempre molto ben frequentati, un uomo armato di un coltello da cucina con una lama di 10 centimetri ha colpito dei passanti al grido di “Allah Akbar”. Il bilancio dell’attacco è di un 29enne deceduto per le gravi ferite riportate, mentre sono quattro le persone ferite delle quali due in modo grave: un 34enne e una donna 54enne che sono stati operati e dichiarati fuori pericolo.
Per l’ennesima volta l’autore dell’attacco, il 21enne ceceno con passaporto francese Khamzat Azimov, era noto e schedato dall’intelligence francese con la “Fiche S” vista la sua radicalizzazione che manifestava con la barba incolta e l’abbigliamento tradizionalmente usato dai fedeli musulmani radicali. Pochi minuti dopo l’azione, è arrivata puntuale la rivendicazione dello Stato Islamico attraverso l’agenzia stampa Amaq che ha parlato di Khamzat Azimov come di «un soldato del Califfato» il quale, secondo indiscrezioni, potrebbe aver deciso di agire su impulso proveniente direttamente dalla Siria. Le modalità utilizzate da Khamzat Azimov sono identiche a quelle di altri attacchi compiuti da jihadisti, ad esempio quello dell’ottobre scorso alla stazione Saint-Charles di Marsiglia dove vennero uccise dal tunisino Ahmed Hanachi due malcapitate ragazze.
L’estremismo islamico ceceno
L’estremismo islamico ceceno è ben conosciuto dai servizi francesi che stima che il 7% dei jihadisti presenti in Francia – partiti per il Medio Oriente o rimasti nel Paese – siano originari del Paese caucasico, confinante a nord-ovest con il Territorio di Stavropol, a est e nord-est con la Repubblica del Daghestan, a sud con la Georgia e a ovest con le Repubbliche dell’Inguscezia e dell’Ossezia del Nord-Alania.
La Cecenia condivide con i suoi vicini la storica e continua crescita del fenomeno del radicalismo islamico, fatto testimoniato dal numeo dei ceceni partiti per fare la jihad. Sarebbero infatti più di 2.000, tra i quali alcuni diventati molto noti per le loro capacità militari e la loro efferatezza . Uno su tutti è il Ministro della guerra dell’ISIS Abu Omar al Shishani (Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili), militare di origine georgiana morto in battaglia il 14 luglio del 2016 e al quale ancora oggi decine di jihadisti caucasici si ispirano.
Da settimane, con l’imminente inizio dei campionati del mondo di calcio in Russia, la regione del Caucaso ribolle. Sono diretti alle migliaia di jihadisti caucasici – che hanno combattuto con l’ISIS o con al Qaeda in Siria e che sono tornati in patria o che vivono in Europa – i continui inviti a colpire durante il mondiale. Una propaganda che non si ferma mai e che pochi giorni fa ha preso di mira il presidente russo Vladimir Putin, rappresentato sul web con alle spalle un miliziano armato di pistola che si appresta a sparargli.
Le falle nella sicurezza francese
Nel caso dell’ultomo attentato di Parigi, la polizia si è mostrata in grado di rispondere all’emergenza in tempi rapidi. In nove minuti è stato raggiunto il luogo dell’attacco dove è stato eliminato Khamzat Azimov, il quale si era lanciato all’attacco controgli gli agenti. Tuttavia, le polemiche non tarderanno a concentrarsi sul fatto che ancora una volta l’attentatore era schedato per la sua pericolosità e la domanda sarà quasi sicuramente sul perché non fosse stato arrestato prima di colpire.
Più che le parole, sono i dati che possono fornire qualche risposta. Dell’oltre mezzo milione di persone schedate a vario titolo con la “Fiche S”, ci sono ufficialmente 19.745 islamisti pericolosi, ma c’è chi ritiene – a ragione – che siano in realtà 25-30.000, un numero che rende praticamente impossibile la sorveglianza continua di questi soggetti.
In ogni caso il sistema preventivo francese non funziona visto che sono molte le “Fiche S” entrate in azione negli ultimi anni. Qualche nome: Adel Kermiche e Abdel Malik Petitjean, i due ragazzi che sgozzarono in chiesa il parroco di Rouen; i fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly, protagonisti dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo; Ayoub El Khazzani, l’attentatore del treno Thalys; Memmouche E. Mehdi, altro cittadino francese di origine algerina, responsabile dell’attacco al museo ebraico di Bruxelles nel 2014; prima di lui Mohamed Merah, che per otto giorni nel 2012 tenne sotto scacco la città di Tolosa.
L’Islam radicale in Francia
Altro dato che preoccupa è la deriva dell’Islam francese stretto nella morsa dei salafiti della Jamaat Tabligh – una costola del movimento ultraradicale dei Deobandi – della Fratellanza Musulmana e dei turchi di Millî Görüş, tutti in competizione per assumere la leadership in Francia. Solo per fare due esempi: in Francia i salafiti controllano 120 moschee il movimento Tabligh 147. I finanziamenti arrivano dai Paesi del Golfo Persico e dalla Turchia, che nei prossimi anni finanzierà 300 tra moschee e centri culturali islamici. Altro dato allarmante è quello delle 11 moschee chiuse durante il periodo delle leggi speciali (2015-2017). Alcune di esse hanno riaperto o lo faranno a breve con un nuovo nome e nuovi volti, ma si tratta solo di operazioni di maquillage visto che i valori diffusi sono quelli di un tempo. Con quello di sabato sono 245 le vittime di attentati sul suolo francese dal 2015 ad opera di estremisti islamici. Da domani ha inizio il Ramadan: sarà un mese in cui è prevista una nuova ondata di attacchi in tutto il mondo.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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