Sono passati due anni dal tragico 13 novembre 2015, giorno in cui la Francia e l’Europa dovettero subire il più grave attacco terroristico compiuto nel continente europeo dai tempi della caduta del muro di Berlino. Chi quella sera era a Parigi o davanti alla televisione, non potrà mai dimenticare l’azione del commando armato jihadista affiliato allo Stato Islamico che per ore ha tenuto sotto scacco la capitale francese.
La città non si era ancora ripresa dalla precedente strage del 7 gennaio 2015 nella redazione parigina di Charlie Hebdo, il magazine satirico “colpevole” di aver ripubblicato le famose vignette su Maometto che erano apparse per la prima volta nel 2006 sul giornale danese Jyllands-Posten. Chi pensava che non si potesse mai superare l’efferatezza di quei giorni – 20 in totale le vittime, 12 delle quali nella redazione del giornale – si sbagliava.
La sera del 13 novembre del 2015 otto attentatori kamikaze divisi in tre gruppi in soli 33 minuti hanno seminato il terrore in vari punti della capitale nella zona dello Stade de France a Saint-Denis. Prima gli spari contro la folla per strada, nei bar e nei ristoranti pieni di giovani che festeggiavano l’inizio del weekend in un venerdì sera che pareva come tanti altri. Poi la mattanza all’interno del teatro Bataclan. Una notte di barbarie senza precedenti, conclusasi con il bilancio di 130 morti e oltre 350 feriti, oltre ad altre centinaia di persone che non riusciranno mai più a riprendersi da questo trauma.
La sera del 13 novembre del 2015 otto attentatori kamikaze in soli 33 minuti hanno seminato il terrore nella zona dello Stade de France a Saint-Denis. Prima gli spari contro la folla per strada, poi la mattanza all’interno del teatro Bataclan: 130 morti e oltre 350 feriti
Degli otto killer, sei si sono fatti saltare in aria azionando le cinture esplosive che indossavano al grido di “Allah è grande”. Il settimo non è riuscito ad azionare la cintura ed è stato ucciso dalle teste di cuoio francesi. L’ottavo, Salah Abdeslam, non ha avuto il coraggio di uccidersi e si è dato alla fuga. È stato fermato solo il 18 marzo del 2016, a Bruxelles nel quartiere di Molenbeek. Qui si era nascosto per mesi in un appartamento di un palazzo apparentemente disabitato, protetto dall’omertà dei residenti locali e da quattro altri terroristi. Oggi Abdeslam è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza in Francia. Pare si sia ulteriormente radicalizzato e non parla con gli inquirenti. La sua reclusione è una magrissima soddisfazione per i famigliari delle vittime e per l’opinione pubblica francese.
Dopo la tragica notte del Bataclan, la Francia si è inchinata altre volte al terrorismo islamico. A Nizza, il 14 luglio del 2016, il tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel ha travolto con un camion decine di persone lungo la centralissima Promenade Des Anglais durante la sera dei fuochi d’artificio per la festa nazionale. Bilancio finale 86 morti, tra i quali 10 bambini, e cento feriti. Altro orrore è stato lo sgozzamento di Padre Hamel (86 anni) pochi giorni dopo, il 26 luglio, all’interno della chiesa della parrocchia di Saint-Étienne-du-Rouvray. Nessuna pietà per lui da parte dei “soldati del Califfato” Adel Kermiche e Abdel-Malik Petitjean, uccisi subito dopo il gesto dalle teste di cuoio.
Basteranno le risposte di Macron?
A due anni di distanza dalla strage del Bataclan, cosa resta di quella notte insanguinata, cosa è cambiato in Francia e quanto sono cambiati i francesi? Il presidente più impopolare della storia francese, Francois Hollande, ha terminato il suo unico mandato tra tante ombre. Nel maggio scorso i francesi hanno deciso di dare fiducia a un giovane tecnocrate europeista, quell’Emmanuel Macron che ha battuto sonoramente alle elezioni presidenziali Marine Le Pen del Front National.
Sul tema della sicurezza Macron ha iniziato a prendere delle contromisure. Da novembre vige nel Paese la nuova legge antiterrorismo che supera lo stato di emergenza proclamato la notte delle stragi del 13 novembre. Un pacchetto di interventi che non può essere considerato come la panacea di tutti i mali, ma che mette quantomeno le forze di sicurezza francesi nelle condizioni di operare in modo adeguato rispetto alla minaccia attuale. Anche se rimangono dei frutti avvelenati di questo testo, tra cui i più amari sono la riapertura delle moschee salafite che erano state chiuse dopo gli attentati e il fatto che non siano stati aumentati i controlli nelle “enclave islamiche” come Lunel e Sevran e nelle “ZUS”, le zone urbaine sensible.
Da novembre una nuova legge antiterrorismo sostituisce lo stato di emergenza. Ma sono molti i luoghi fuori controllo: le moschee salafite, le “enclave islamiche” come Lunel e Sevran e le zone urbaine sensible
Ma non solo. Cresce anche il rischio del ritorno dei foreign fighters ora che lo Stato Islamico come entità statuale non esiste più. Il progetto del Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi resta però immutato e tra i 15.000 estremisti islamici monitorati in Francia è lecito aspettarsi dei tentativi di tornare a colpire da parte di molti di essi.
A certificare lo stato di palpabile tensione che si vive nella Francia del dopo Bataclan sono anche altri due dati di cui pochi parlano. Il primo è relativo alla fuga degli ebrei. Sono stati 40mila negli ultimi dieci anni, buona parte dei quali ha deciso di lasciare il Paese proprio dalla fine del 2015. Di questi 5mila sono tornati in Israele visto che portare la kippah per strada oggi in alcune zone di Parigi espone alla reazione violenta degli estremisti islamici. Il secondo dato rimanda alle chiese cattoliche sempre più deserte. Un aspetto che stride di fronte alle folle di musulmani che il venerdì si riuniscono per la tradizionale preghiera occupando strade e piazze.
Qualcuno, nemmeno troppo tempo fa, aveva provato a lanciare l’allarme. «Niente convivenza senza riforma – aveva dichiarato nel 2016 l’ex premier socialista Manuel Valls – occorre un ripensamento completo della formazione degli imam e dei predicatori, che dovranno essere formati unicamente in Francia, occorre la trasformazione del Paese in un polo d’eccellenza europeo nell’insegnamento della teologia musulmana e la creazione di un sistema di finanziamento francese delle moschee». Nessuno, però, sembra aver dato ascolto quel monito.
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Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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