Dopo il goffo tentativo di dar vita a un governo per l’Italia in seguito al voto del 4 marzo, i conti ancora non tornano. Le perplessità eccepite sul profilo di Giuseppe Conte, ultimo premier indicato, a rischio bocciatura del Quirinale ma infine non bruciato sull’altare del compromesso, rischiano infatti di rendere zoppo sin dall’inizio questo governo giallo-verde. Il premier designato, inciampando malamente sul ciarpame del gossip e in parte spogliato di dignità governativa, deve già recuperare credibilità ancor prima di nascere.
Non è solo come il suo nome è stato forzatamente e prematuramente annunciato da uno scalpitante Luigi Di Maio, che peraltro persevera negli sgarbi al Colle (ma in questo viene ampiamente superato da un sempre più ambiguo Alessandro Di Battista). E non è neanche il curriculum in sé, a preoccupare della vicenda Giuseppe Conte. Piuttosto, lo è il fatto che l’Italia intera sia stata ingiustamente esposta al ridicolo per un nonnulla.
Poiché la risonanza internazionale che quest’episodio curriculare ha creato – con i risvolti negativi che esso potrebbe determinare di qui in avanti – ha minato sin da subito l’immagine vincente del premier incaricato. Al tempo stesso, ciò ha evidenziato le non poche fragilità della presidenza della Repubblica, che ha dovuto accettare il nome di Giuseppe Conte obtorto collo, e così dovrà fare anche per la lista dei ministri.
A preoccupare non è ovviamente il tempo che è stato necessario a darsi un governo, né il vero problema risiede nei profili politici della nuova dirigenza o nei modi spicci del duo Di Maio-Salvini. È la Terza Repubblica in sé a spaventare. Perché il rischio di perdere tutto è davvero alto. Lo è per gli stessi movimenti 5Stelle e Lega la cui politica si sta tramutando da cripto-rivoluzionaria in establishment, tale per cui questa nuova veste potrebbe pregiudicare la forza dirompente che sin qui ha contraddistinto entrambi. E lo è per la maggioranza degli italiani, che li hanno votati per voltare pagina, e potrebbero ritrovarsi per l’ennesima volta traditi, se da incendiari questi partiti dovessero poi dimostrarsi pompieri.
Ma il pericolo maggiore è probabilmente per la stessa presidenza della Repubblica, che rischia di essere trascinata in una spirale degradante per tutte le istituzioni, luoghi dove la forma spesso è anche sostanza (vedi il caso del presidente della Camera Fico, accusato di snobbare l’inno d’Italia). Una sequela d’interrogativi che, in mancanza di risposte rapide, non potranno che compromettere ogni velleità di leadership italiana in Europa per i prossimi anni.
Infine, resta ancora sullo sfondo la possibilità che un corto circuito interno alla coalizione giallo-verde ci trascini prima o poi a elezioni anticipate, con un grigio governo che duri il tempo di varare un’ennesima legge elettorale. Il che sarebbe davvero indigeribile. Ad ogni modo, sarà la storia e non altri a decretare il successo o la sconfitta dei politici che guidano la XVIII Legislatura. Adesso, interessa anzitutto capire quale orizzonte politico saprà darci questa giovane classe dirigente. Sul tavolo, ci sono questioni cruciali per il nostro paese. Alcune, a onor del vero, le hanno ben evidenziate gli stessi partiti di maggioranza, inserendole in un “contratto per il cambiamento” vergato dai due leader di Lega e M5S. Operazione trasparente e scaltra, va ammesso. Ma offrire ricette e contratti è piuttosto facile, mentre dare risposte concrete agli italiani è tutt’altra cosa.
Tra i punti di maggior debolezza dei Cinque Stelle, c’è il mancato conferimento della premiership a Luigi Di Maio, ostacolato da un Matteo Salvini che è intelligentemente riuscito a impedire che il suo alter ego grillino gli facesse ombra da un più alto scranno. Per Di Maio resta un’occasione persa e un treno che, forse, non ripasserà per lungo tempo. La debolezza della Lega, invece, è tutta nell’ambiguità del posizionamento e del ruolo del partito nella coalizione di centrodestra. Che fare con Berlusconi e Meloni? Come gestire l’opposizione di Forza Italia e Fratelli d’Italia? La questione si presenterà molto presto in parlamento e vedremo se il leader del carroccio avrà sufficiente scaltrezza per governare questi malpancisti.
Infine, resta da sciogliere il nodo della principale forza di opposizione. Chi è o chi si crede di essere oggi il Partito Democratico? Quale prospettiva offre a questo partito la Terza Repubblica? C’è ancora spazio per i capricci dei leader PD e per le convulsioni interne che hanno spaccato l’unico vero partito erede della sinistra che fu? Inimmaginabile pensare che gli elettori, in futuro, premino ancora un gruppo dirigente la cui principale occupazione è litigare. E che fine farà il battitore libero Matteo Renzi? Sta preparando una rinascita come l’Araba Fenice?
A voler dar retta al termometro politico degli ultimi giorni, comunque, parrebbe che ancora una volta sarà il gattopardismo a prevalere, condannando definitivamente questo Paese all’immobilismo. Se invece il governo giallo-verde a guida Conte riuscirà a vincere la prova che lo attende – a oggi superiore alla somma delle loro capacità – potremo salutare con gioia la nascita effettiva della Terza Repubblica. Ma, soprattutto, non saremo più costretti a rimpiangere né la Prima né tantomeno la Seconda Repubblica.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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