Crocevia del 21% del petrolio mondiale, il Golfo Persico ha un ruolo centrale nel mercato energetico internazionale. Cina, India, Giappone sono i nuovi driver della domanda, mentre diminuisce la dipendenza USA, con importanti esiti sugli equilibri regionali.
1. QUANTO PETROLIO TRANSITA DAL GOLFO
Secondo le stime della US Energy Information Administration (EIA) nel 2019 il 27% dell’offerta globale di petrolio è stato garantito da cinque Paesi mediorientali (Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Iran e Kuwait), tre dei quali fanno parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo – CCG (che riunisce le Monarchie di Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti). La regione del Golfo vede la presenza altamente strategica dello Stretto di Hormuz, situato tra Oman e Iran, che rappresenta il più importante degli otto chokepoints marittimi mondiali (con lo Stretto di Malacca, il Canale di Suez, Bab el Mandab, gli Stretti danesi, Bosforo e Dardanelli, il Canale di Panama e il Capo di Buona Speranza). Nel 2018 l’EIA ha calcolato un transito di 21 milioni di barili al giorno per Hormuz, pari al 21% del consumo totale di greggio e al 35% di quello trasportato via mare. Per lo stesso anno, BP ha analizzato la produzione giornaliera dei principali attori dell’area, che si attesta su 12,3 milioni di barili per l’Arabia Saudita, 4,7 per l’Iran, 4,6 per l’Iraq, 3.9 per gli Emirati, 3 per il Kuwait, 1,9 per il Qatar.
Fig. 1 – Navi mercantili e petroliere al largo dello Stretto di Hormuz
2. I PRINCIPALI COMPRATORI
Dal lato della domanda, nel 2018 il 76% del petrolio in uscita dallo Stretto di Hormuz è stato esportato nei mercati asiatici, il 65% del quale diretto verso Cina (circa 3 milioni di barili al giorno), India, Giappone, Corea del Sud e Singapore. Gli Stati Uniti, attualmente primo produttore mondiale di greggio davanti ad Arabia Saudita e Russia, nel 2018 hanno continuato a importare dal Golfo circa 1,4 milioni di barili al giorno. Il ruolo statunitense nel mercato energetico globale, e di conseguenza l’intero scenario geopolitico del settore, è profondamente mutato grazie al progressivo sviluppo della tecnologia shale dall’inizio degli anni Duemila, che ha consentito alle compagnie americane di estrarre idrocarburi dalle rocce bituminose presenti in numerosi Stati. L’innovazione della tecnologia shale ha avuto un impatto dirompente, trasformando gli USA da driver della domanda di petrolio a principale produttore, in diretta competizione con i membri del cartello OPEC. Lo spostamento del volume della domanda verso le potenze emergenti asiatiche ha reso le dinamiche del mercato particolarmente sensibili all’andamento delle loro economie, soprattutto di quella cinese.
Fig. 2 – Jebel Ali Duty Free Zone e terminale petrolifero, Dubai – EAU
3. GLI EQUILIBRI REGIONALI E IL MERCATO ENERGETICO GLOBALE
Visto l’alto valore strategico dei chokepoints, anche un loro blocco temporaneo causerebbe serie ripercussioni economiche internazionali, implicando ritardi di fornitura, maggiori costi di trasporto, premi assicurativi e prezzi dei prodotti petroliferi più elevati. Nel caso di Hormuz, solo Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti possiedono capacità addizionale e oleodotti per bypassare lo Stretto. La minaccia di una sua eventuale chiusura è un tema che ricorre nella retorica della leadership della Repubblica Islamica, soprattutto nelle fasi più acute dello scontro con gli USA, malgrado sia di difficile attuazione a causa degli ingenti danni che causerebbe alla stessa economia iraniana. È evidente però che anche azioni o incidenti di entità minore inciderebbero notevolmente sugli interessi dei diversi players del settore.
Il comparto petrolifero attraversa una fase complessa: la contrazione della domanda conseguente alla crisi Covid-19 e i contrasti tra Arabia Saudita e Russia (inclusa nella nuova alleanza allargata Opec+) hanno condotto a un crollo del prezzo del petrolio senza precedenti, con picchi addirittura negativi. S&P Global Ratings prevede che per la combinazione di questi fattori le economie del CCG potrebbero accumulare 490 miliardi di dollari di deficit entro il 2023, una sfida radicale per regimi che fondano il loro patto sociale sulla rendita da idrocarburi. La diminuzione della remuneratività dei combustibili fossili, destinati nel lungo periodo a cedere il passo a fonti energetiche meno inquinanti, unita alla minore dipendenza degli USA e all’emersione di produttori extra-OPEC, avrà un impatto sui sistemi politici ed economici dei Paesi del Golfo e sulla loro capacità di proiezione internazionale.
Immagine di copertina: “The Gulf” by europeanspaceagency is licensed under CC BY-SA
Di Violetta Orban, pubblicato su Il Caffé Geopolitico
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