Dalle prime ore di questa mattina circola la notizia di un colpo di Stato in Guinea, dove un gruppo di golpisti sostiene di aver «catturato» il presidente Alpha Condé, annunciando la «dissoluzione» delle istituzioni. Dietro al colpo di stato c’è un’unità d’élite dell’esercito, il Groupement des forces spéciales, guidata dal tenente colonnello Mamady Doumbouya. Situazione caotica, in continuo cambiamento. Un profilo del Paese dell’Africa Occidentale è riportato nel libro Africa, impresa possibile scritto da Alessandro Vinci per Paesi Edizioni.
Altro Stato dalla lunga tradizione illiberale, la Guinea è l’ottava nazione africana per numero di migranti approdati in Italia tra gennaio 2014 e dicembre 2019: 28.054. Ex colonia francese al pari delle confinanti Senegal, Mali e Costa d’Avorio, non va confusa con le altre due «Guinee» presenti in Africa: la Guinea-Bissau e la Guinea Equatoriale. Perciò spesso le si affianca il nome della capitale Conakry, centro economico e amministrativo del Paese. Anche in questo caso lo sviluppo nazionale è stato fortemente condizionato da una lunga stagione dittatoriale. Ottenuta l’indipendenza da Parigi, infatti, il governo è stato retto fino al 1984 dal socialista Ahmed Sékou Touré, repressore di ogni opposizione, e per i successivi ventiquattro anni dal generale golpista Lansana Conté, che pur ripristinando il multipartitismo di fatto non garantì mai adeguate libertà democratiche. In totale, mezzo secolo di politiche corrotte e autoritarie: dal 1958 al 2008. Morto Conté, libere elezioni si sono svolte nel 2010. A vincerle è stato Alpha Condé, suo storico avversario, che ha avviato una coraggiosa stagione di riforme. Nel 2014 i progetti di rinnovamento hanno però subìto un brusco stop dovuto all’epidemia di ebola scoppiata proprio in Guinea e successivamente diffusasi in Liberia e Sierra Leone, allarmando anche l’Europa. Su 3.814 casi accertati nell’ex possedimento francese, i decessi sono stati 2.543. A determinare l’espandersi del contagio dalle zone rurali alla popolosa Conakry è stata anche e soprattutto la precaria situazione igienica, eredità di decenni di indifferenza verso le condizioni di vita dei cittadini meno abbienti. Basti pensare che nel 2015 l’accesso ai servizi sanitari era ancora limitato al 20% della popolazione, dunque a un guineano su cinque, e tuttora uno su quattro non dispone di acqua potabile. Il tasso di alfabetizzazione, inoltre, è uno dei peggiori del pianeta: secondo alcune rilevazioni superiore soltanto a quelli di Niger, Ciad e Sud Sudan. Il principale obiettivo di Condé è quindi attrarre capitali esteri per far fronte a queste problematiche. È qui che si apre la possibilità di fare impresa in Guinea. Un Paese che, nonostante tutto, sta crescendo a un ritmo del 6% annuo.
Grazie alle favorevoli condizioni climatiche, a occupare oltre il 70% della popolazione attiva è il settore primario, che tuttavia contribuisce al PIL solamente per il 20%. Questo perché le colture di sussistenza prevalgono su quelle industriali e risentono al contempo sia dell’arretratezza tecnologica che della scarsità di infrastrutture. Una carenza, quest’ultima, che incide anche sulla produttività del comparto industriale. Centrale invece l’attività estrattiva: dal sottosuolo guineano si ricavano ferro, diamanti, oro, uranio ma soprattutto bauxite, minerale di cui il Paese è tra i primi esportatori mondiali. E proprio a proposito di bauxite, a maggio 2018 la multinazionale mineraria cinese Tbea ha sottoscritto con il governo di Condé un accordo commerciale da 2,9 miliardi di dollari per la realizzazione di un progetto infrastrutturale che dovrebbe garantire a Conakry oltre 400 milioni di dollari di ricavi annui. È solo l’ultima dimostrazione della rinnovata affidabilità di cui gode a livello internazionale l’ex colonia francese, i cui giacimenti naturali sono stati finora sfruttati solo in parte. Anche per questo, il settore che oggi contribuisce maggiormente alla ricchezza nazionale è il terziario, nel quale però è impiegata solo una minima parte della popolazione. Decisivo risulta quindi l’apporto degli investimenti esteri, oggi più che mai incentivati anche da quella tranquillità sociale che rappresenta uno dei grandi successi conseguiti dal presidente. A differenza di quanto accade nel vicino Senegal o in Gambia, infatti, in Guinea i rapporti tra le due principali etnie – i fulani e i mandingo – raramente sono stati buoni.
Oggi tuttavia, come ha spiegato su eastwest.eu Guido Talarico, «Condé è riuscito nella mediazione. Ha fatto concessioni, ha tranquillizzato le parti più estreme, ha dimostrato equilibrio». Ma sono anche altri i numeri che testimoniano la bontà del lavoro svolto. Ad esempio, quelli relativi al livello di corruzione della macchina pubblica. Se infatti nel 2010 il Paese occupava il 164° posto (su 178) nell’apposita graduatoria mondiale stilata da Transparency International, nel 2018 era passato al 138°. Segno che i progressi da fare restano ancora moltissimi, ma che la strada imboccata è quella giusta. Tuttavia, a frenare il cambiamento in atto potrebbe essere il vincolo del doppio mandato che impedirà a Condé di ricandidarsi quest’anno, poiché già rieletto nel 2015. Un limite istituito per scongiurare il riaffermarsi di lunghi regimi personalistici che oggi potrebbe rivelarsi un boomerang. Tutto ciò a meno che il presidente non riesca nel suo intento di mettere mano alla Costituzione, prospettiva che però ha già ridestato antichi malumori nella società civile. Quelli che attendono la Guinea saranno dunque mesi decisivi. Qualora il Paese dovesse riuscire a mantenere la rotta degli ultimi anni, c’è la possibilità che in un futuro forse non così lontano la sua popolazione possa raggiungere condizioni di vita finalmente accettabili. Le imprese europee attendono alla finestra.
Tratto dal libro
Africa, impresa possibile
di Alessandro Vinci
Redazione
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