Una lettura che può aiutare a inquadrare ciò che sta accadendo in Medio Oriente, con la nuova escalation di violenze tra Israele e palestinesi, è il libro I semi del male di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi, edito da Paesi Edizioni. Ecco la postfazione a firma di Fiamma Nirenstein.
Il terrorismo è un po’ come l’antisemitismo: più ne cerchi le cause, e dunque più cerchi di capire come combatterlo, più si prende gioco di te. Più cerchi di definirlo, più mostra la sua orribile testa di Idra, la sua multiforme capacità di nascondersi, riemergere, esistere come fosse non un fenomeno storico, ma una sorta di forza della natura. Sembra che esso non nasca da altro se non dal male che divide gli uomini, un male che nei secoli ha assunto forme diverse e inaspettate. Al contempo, esso si nutre delle certezze assolute delle proprie ragioni, tali da giustificare, anzi da auspicare, l’eliminazione del nemico. Religione e politica sono le due inesauribili fonti da cui si abbevera.
A chiarire quale sia il ruolo e la portata del terrorismo di matrice sunnita, incarnato in Al Qaeda e ISIS, è questo libro di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi. Un vademecum completo sulle due organizzazioni, di cui vengono ricostruiti l’albero genealogico e le sue diramazioni, e sfogliati con «intima» precisione gli album di famiglia dei loro maggiori leader: da Osama Bin Laden ad Anwar Al Awlaki, da Abu Musa Al Zarkawi ad Abu Bakr Al Baghdadi. Capi jihadisti sanguinari, sterminatori di esseri umani innocenti, di donne e bambini, tutti via via eliminati. Come Abu Jihad, ucciso a Tunisi nel 1988, fra i fondatori di Al Fatah, uno dei maggiori strateghi del terrorismo palestinese; o lo sceicco Ahmad Yassin, capo del gruppo islamico palestinese Hamas, mandante di un migliaio di assassini di ebrei.
Come raccontano gli autori, i terroristi sunniti affondano le proprie radici ideologiche nella Fratellanza musulmana, aderendo al pensiero di uno dei suoi principali esponenti storici, Sayyid Qutb, che ambisce al dominio definitivo del mondo da parte dell’Islam. Una visione che viene messa in pratica attraverso una strategia mondiale onnipresente che conta sulla sponda di forze molteplici e diversificate, come la leadership statale ottomana del presidente turco Recep Tayyip Erdogan; che si serve ora della propaganda mediatica, ora di offensive militari di massa, ora di forme apparentemente democratiche di lotta, come il BDS, la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele; che usa come cavalli di Troia organizzazioni e ideologie correnti nel mondo occidentale.
Rispetto agli autori, concordo invece meno sull’idea che il terrorismo di matrice sunnita nasca da intenzioni controverse e strumentali dell’Occidente e, soprattutto, degli Stati Uniti. Paese quest’ultimo che invece, a mio parere, nella sua storia ha portato, e continua a portare avanti, una valida guerra al terrore. Certo difficile, a volte ingenua, altre volte complicata da circostanze inaspettate, ma non bugiarda o sciocca.
In questo complesso scenario non va dimenticato il ruolo di quelle tante istituzioni internazionali infiltrate o influenzate per interposta persona da organizzazioni terroristiche di varia natura, molto spesso travestite da associazioni umanitarie e ONG. È un fenomeno che si manifesta a tutti i livelli: in seno all’ONU, alla Corte Criminale Internazionale, nelle organizzazioni che si occupano della difesa dei bambini, della tutela della salute, dei diritti dei carcerati. È un fenomeno altamente inquinante e sempre più capillare. Molti movimenti, molte istituzioni e strutture internazionali conniventi, non percepiscono minimamente quanto in realtà il terrorismo sia vicino a loro, o si avvantaggi delle loro azioni. Altre, invece, ne sono complici consapevoli, specie quelle che convogliano soldi e aiuti umanitari alle organizzazioni palestinesi o le legittimano apertamente. È il caso di quelle organizzazioni che sostengono, ad esempio, l’autonomia palestinese: esse finanziano i terroristi in carcere con stipendi regolari, elargendo contributi sempre più cospicui quante più sono le loro vittime e gli anni di prigione comminati a loro carico da regolari processi.
Spesso si resta stupefatti della connivenza ammessa, e persino vantata, dalle grandi istituzioni internazionali. Emblematico il caso del rappresentante dell’UE nella West Bank e nella Striscia di Gaza, Sven Kuhn von Burgsdorff, che in una lettera datata 30 marzo 2020 indirizzata alle ONG spiegava che i finanziamenti europei sono sì vietati alle organizzazioni considerate terroristiche dall’Unione, ma non alle persone fisiche che vi sono affiliate.
Quelle passate qui in rassegna sono solo alcune delle tante sfaccettature di una macchina mondiale il cui sfondo ideologico ha origine dalla confusione tra terroristi e combattenti per la libertà, che fa un uso fasullo dei termini «rivoluzione», «combattenti», «guerriglieri», che nel 1982 ha portato all’approvazione di una risoluzione da parte dell’ONU in base alla quale il terrorismo viene ammesso se usato come strumento di lotta per la libertà e l’autodeterminazione.
Ma il piano del terrorismo islamico, come detto, è ben altro, ossia conquistare il mondo. E in questo piano ad avere una parte di grandissimo rilievo è l’Iran, la vetta della piramide dell’Islam sciita. I disegni egemonici degli Ayatollah sin dal 1979, anno della Rivoluzione islamica iraniana, sono imponenti, lungimiranti, miliardari. Oltre alla conquista militare incarnata dal generale Qassem Soleimani, per anni alla testa di un vero e proprio esercito con mire imperialiste che ha invaso gran parte del Medio Oriente facendone strame (fino alla sua uccisione il 3 gennaio 2020 a seguito di un attacco aereo ordinato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump), questi piani prevedono l’uso del terrorismo in tutto il mondo direttamente o attraverso proxies armati e allenati a suon di miliardi di dollari.
La principale longa manus dell’Iran è l’organizzazione terroristica libanese Hezbollah, che per paura e opportunismo l’Unione Europea, contrariamente ormai a molti dei suoi stessi Paesi membri, definisce tale solo riguardo alla sua ala militare, nonostante i morti di cui si è macchiata con attentati in tutto il mondo siano migliaia: dai marines e dai militari delle forze di pace a Beirut nel 1983, agli 85 morti e 300 feriti del centro ebraico di Buenos Aires nel 1994, fino alla sfilza di morti innocenti di oggi, la maggior parte per ordine di Teheran.
L’Iran oggi si serve della collaborazione di Hezbollah, del regime siriano di Bashar Al Assad e della connivenza russa in Siria per preparare la stagione del «grande terrore» dei missili intelligenti, il cui peso potrebbe rivelarsi rilevante nella guerra a Israele. Di- struggere lo Stato Ebraico è, d’altronde, il primo e più importante sogno di tutte le organizzazioni terroristiche: gli ebrei rappresentano il Dar al-harb («dimora della guerra») e, pertanto, devono essere eliminati, come recita lo statuto di Hamas. Non a caso gli sciiti iraniani finanziano proprio Hamas e i tutti palestinesi sunniti in modo massiccio, facendone, in pratica dei soldati ai loro ordini. Nel perseguire questa strategia l’Iran non ha pregiudizi: l’aiuto alla grande rivoluzione islamica può arrivare da ovunque, l’importante è che gli Ayatollah ne restino il centro. È per questo motivo che sembra che abbiano ospitato Osama Bin Laden dopo l’11 di settembre, e che abbiano accolto suo figlio Hamza a Teheran.
In conclusione, nel mondo islamico militante non esistono moderati, come invece credeva Barack Obama. Il mentore e maestro di Bin Laden era Abdullah Azzam, e la sua ispirazione Muhammed Qutb, fratello di Sayyid che ha innescato il grande movimento islamico e che, a sua volta, ha usato il terrorismo come arma a suo favore. Sciiti e sunniti hanno svariati campi di battaglia. Ma lo scontro con l’Occidente spesso li fa convergere nello stesso fronte.
Tratto dal libro
I semi del male
di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi
Redazione
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