Sarà perché l’aggressività del Covid-19 si attenua molto con i climi caldi; sarà perché l’età media della popolazione africana è di 19,4 anni, mentre in Europa è di 40 e in Italia di 44,4 (2017), di fronte a un virus le cui vittime hanno in media 79 anni. Quali siano le ragioni, le statistiche in Africa della diffusione e della mortalità di questo male non sono drammatiche. Almeno per ora: il rischio di una recrudescenza esiste sempre, ovunque nel mondo.
Nessun giornale mi ha spiegato quello che sta accadendo in Africa meglio di Umberto Cattaneo, un giovane imprenditore monzese che vive in Tanzania da sei anni. Fra i 60 milioni della Tanzania l’età media è di 17 anni e mezzo, l’aspettativa di vita è di 62.
“Il corona”, spiega Umberto, “non rientra fra le cose più pericolose che possono accadere. Qui abbiamo tubercolosi, ebola, malaria, dengue, malnutrizione, acqua contaminata”. Pochi governi africani hanno imposto il lockdown: in Tanzania il presidente John Magufuli lo ha correttamente ritenuto impossibile. In Kenya dove è stato ordinato, spiega Umberto, nel tentativo di farlo rispettare la polizia ha fatto più vittime del virus.
La buona notizia (chiamiamola così) dello scarso contagio che viene dal Continente Nero, ci conforta. Se fosse accaduto il contrario, gli effetti sarebbero stati inimmaginabili: secondo l’Ocse i 54 paesi del continente spendono per la sanità pubblica mediamente 12 euro a persona. All’anno. Bene, dunque, l’Africa è salva e può uscire dai radar delle nostre preoccupazioni quotidiane.
Ma provate a immaginare quale sta per essere l’effetto dello tsunami economico che stiamo provando in Occidente, nella realtà descritta da Umberto. Immaginatevi cosa significa per i produttori africani l’irresponsabile guerra petrolifera fra Arabia Saudita e Russia, e il prezzo del barile sprofondato come non mai da quando il greggio muove gli uomini e l’economa mondiale. O quale onda d’urto provoca il crollo della domanda dal mondo ricco di decine di commodities; o l’assenza di turisti, oppure la fine delle rimesse in valuta di milioni di emigrati. Solo in rimesse, la Banca mondiale ha calcolato una perdita di 100 miliardi di dollari per l’Africa e le altre regioni del mondo povere o in via di sviluppo.
Perché se l’Africa è stata relativamente investita dal virus, il suo sviluppo rischia di recedere di mezzo secolo a causa delle conseguenze economiche. Non è facile terzomondismo paragonare il coronavirus a un’ultima involontaria impresa coloniale del mondo ricco (Cina compresa: possiede un quinto del debito africano). E’ iniziato in Cina, è stato portato in Africa dagli occidentali e dai cinesi; lo shutdown economico che in tanti paesi africani come la Tanzania era inutile fare, è stato imposto in Cina, in Europa, negli Stati Uniti: ma gli effetti saranno ancor più disastrosi per gli africani.
Diciassette leader mondiali, fra cui Giuseppe Conte, hanno firmato una lettera aperta per chiedere alle organizzazioni multilaterali finanziarie di “usare tutti gli strumenti a disposizione e rivedere le politiche di accesso e le limitazioni” al credito, “affinché i paesi a basso reddito possano pienamente beneficiare del loro supporto”. Il G20 non propone di cancellare il loro debito ma solo di congelarne la restituzione insieme all’oneroso servizio sui debiti bilaterali. Gli investitori privati però sono contrari: eventualmente si può fare solo per qualche paese.
AFRICA: L’IMPATTO DEL CORONAVIRUS SULL’ECONOMIA
La direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva pensa che le economie emergenti abbiano bisogno di un aiuto da 2,5 mila miliardi di dollari. I governi del continente chiedono di essere almeno sollevati dal loro debito per 44 miliardi di dollari. Paragonato ai nostri bazooka, non è così tanto, diviso per il miliardo e 200 milioni di africani.
Molti diranno che quegli stessi governi hanno gravi responsabilità, più di un paese è malamente governato da cleptocrazie. Ignoriamo, se volete, l’aspetto umanitario ed etico di un aiuto all’Africa. David Pilling, il responsabile per l’Africa del Financial Times, ci ricorda che fino a due mesi fa otto delle 15 economie che crescevano di più al mondo, erano africane; che in molti paesi crescevano servizi e infrastrutture; che dall’inizio del secolo l’aspettativa di vita è cresciuta di dieci anni; che la mortalità infantile e delle madri dopo il parto, è crollata.
E, aggiungo io, se ancora la vogliamo mettere sul piano del cosa ce ne viene, pensate fra due anni quanti altri milioni di africani affronteranno gli schiavisti libici, la traversata in gommone del Mediterraneo e i nostri sovranisti. Cercare fortuna in un’Europa in recessione sarà sempre meglio che vivere in ciò che attende l’Africa.
Pubblicato sul blog di Ugo Tramballi de Il Sole 24 Ore
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