Una zona demilitarizzata per impedire che Idlib venga ridotta in macerie dai bombardamenti aerei dei caccia siriani e russi. L’accordo è stato raggiunto a Sochi nella giornata di ieri, lunedì 17 settembre, dal presidente russo Vladimir Putin e dal presidente turco Receep Tayyip Erdogan. L’intesa è arrivata in una giornata di ordinaria tensione per la Siria, poche ore dopo l’abbattimento per errore di un aereo da trasporto russo con a bordo 14 militari da parte dei sistemi anti-aerei di Damasco. Il velivolo volava a circa 35 chilometri dalla costa davanti a Latakia, dove si trova una base aerea di Mosca, quando è stato centrato in uno scambio di colpi tra quattro F-15 israeliani e la contraerea siriana.
Cosa prevede l’intesa su Idlib
L’intesa prevede che da metà ottobre venga delineata una zona cuscinetto che si estenderà per circa 15-20 km. L’area servirà per impedire il contatto tra le truppe dell’esercito regolare siriano, avanzate nel governatorato dopo il lancio di un’offensiva sostenuta dalla Russia scattata a fine agosto, e le milizie del fronte anti-Assad, al cui interno è sempre più “ingombrante” la presenza di gruppi affiliati alla coalizione jihadista Hayat Tahrir al-Sham (ex qaedisti di Jabhat Al Nusra). A vigilare sull’eventualità di possibili sconfinamenti in una parte o nell’altra sarà una forza congiunta formata da soldati turchi e russi.
La situazione a Idlib
Idlib è un governatorato della Siria situato nella parte nord-occidentale del Paese. È l’ultima roccaforte di una certa entità ancora in mano ai ribelli siriani. Secondo le stime riportate dall’Osservatorio Al Monitor, al suo interno sono asserragliati tra i 50.000 e i 90.000 combattenti armati. Di questi, tra il 10 e il 20% apparterrebbero a gruppi jihadisti. La maggior parte di questi gruppi sono composti da ex membri della formazione qaedista Jabhat Al Nusra, altri sono affiliati allo Stato Islamico.
In questi anni di conflitto in Siria il governatorato ha goduto della “protezione” della Turchia che in questa provincia non solo schiera centinaia di propri soldati ma continua a inviare aiuti ai ribelli “moderati”. Recentemente Ankara ha fatto arrivare nel governatorato nuovi rinforzi consistenti in carri armati e carichi di armi per rifornire 12 punti di osservazione di cui dispone nel governatorato. Per il governo turco Idlib ha un’importanza strategica fondamentale. Perderne il controllo significherebbe creare una falla negli oltre 4.000 km di territorio della Siria settentrionale in mano alla Turchia e, di conseguenza, dare ai curdi siriani delle SDF (Forze Democratiche Siriane, braccio armato dell’YPG-Unità di Protezione del Popolo) nuove chance di oltrepassare i confini turchi e collegarsi ai curdi turchi del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan, considerata organizzazione terroristica da Ankara al pari delle SDF).
Al contempo, Idlib è un obiettivo strategico anche per l’esercito regolare siriano. Prendere il governatorato permetterebbe a Damasco di annichilire definitivamente le ultime sacche di resistenza dei ribelli e assestare un colpo potenzialmente decisivo ai gruppi jihadisti annidati nella parte nord-occidentale del Paese.
Nelle ultime settimane la possibilità di una pioggia di bombe su Idlib è stata osteggiata dalle Nazioni Unite che temono una catastrofe umanitaria per gli oltre 3 milioni di persone che vivono in questa provincia. Dai primi bombardamenti di fine agosto gli sfollati sono già stati 30mila. L’allarme è stato lanciato anche dalla Turchia. Erdogan ha detto che bombardare Idlib innescherebbe l’arrivo di almeno 2 milioni di rifugiati verso i confini meridionali della Turchia. Ma, soprattutto, il presidente turco ha agitato lo spauracchio jihadista in direzione dell’Europa: il caos, insomma, potrebbe essere sfruttato dai miliziani di Al Qaeda e ISIS per entrare in Turchia e, da qui, muoversi verso l’Europa.
I punti rimasti in sospeso dopo l’accordo
Al netto della soddisfazione espressa sia da Erdogan che da Putin per l’esito del vertice di Sochi, sulle sorti di Idlib continuano a pendere molti interrogativi.
Erdogan ha dichiarato che la Turchia vigilerà sulle milizie ribelli facendo in modo che non oltrepassano i confini delimitati dalla zona cuscinetto. Ma è una rassicurazione che a Putin non può bastare. Il capo del Cremlino resta dell’idea che la priorità per Mosca, e non solo per Damasco, deve essere quella di stanare i jihadisti di Al Nusra nascosti a Idlib. Ne va di mezzo la sicurezza delle basi militari russe nel nord-ovest della Siria.
Per il momento, dunque, si può considerare concluso solo il primo tempo di questa partita. Erdogan ha ottenuto qualcosa in più rispetto al summit di Teheran, dove lo scorso 7 settembre aveva ricevuto un no da Putin e dal presidente iraniano Hassan Rouhani alla sua richiesta di imporre un cessate il fuoco a Idlib. Per il momento ha incassato un alleggerimento (almeno temporaneo) dei bombardamenti aerei e una zona demilitarizzata, ma potrebbe non bastargli. Presto Ankara potrebbe essere costretta da Mosca a “mollare” i ribelli siriani pur di mantenere un piede nel nord della Siria. Non sarebbe, d’altronde, il primo tradimento eccellente a cui assistiamo in questa guerra senza fine.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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