L’assegnazione dei pieni poteri a Viktor Orbán ha indignato l’opinione pubblica internazionale, che lo accusa di aver sfruttato l’emergenza causata dal nuovo Coronavirus per scopi politici. Questo però è solo l’atto finale di un cammino lungo 10 anni. Ripercorrendo tale cammino verso l’autoritarismo, si potrà notare che alcuni degli elementi fondanti di ogni democrazia siano venuti a mancare ben prima dell’ultima mossa del premier ungherese e che le istituzioni europee siano rimaste ad osservare lo svolgersi di questo processo senza trovare soluzioni concrete.
Viktor Orbán, alla sua terza legislatura in Ungheria, è riuscito a rinnovare radicalmente la macchina governativa della nazione, rinforzando gradualmente la propria posizione. Orbán si è mosso sempre entro i limiti della legge, come spesso tengono a precisare i membri di Fidesz, la maggioranza, un po’ come è successo in Polonia. Ma l’approvazione da parte del parlamento lo scorso 30 marzo della proposta legislativa che gli conferisce pieni poteri per tutta la durata dell’emergenza, di cui sarà l’organo esecutivo a deciderne la fine, è stata possibile solo dopo anni di limature legislative e attraverso l’elaborazione di un meccanismo tale da rendere possibile la lenta erosione dello stato di diritto.
La legge conferisce ad Orbán, senza limitazione di tempo, il diritto di governo esclusivo. Il premier ungherese potrà governare attraverso decreti fino a quando vorrà, fino a quando cioè sarà lui stesso a deciderlo. Orbán potrebbe quindi anche abrogare leggi approvate dal parlamento e sarà l’unico a stabilire fino a quando questi poteri illimitati non saranno più necessari. Tali poteri includono la possibilità di chiudere il Parlamento, di decidere sul cambiamento o l’eventuale sospensione delle leggi vigenti e di non concedere le elezioni. Come corollario, in base alla legge, chi sarà accusato di diramare fake news rischierà fino a 5 anni di carcere e fino a 8 anni chi violerà la quarantena. Il provvedimento è passato in parlamento grazie allo strapotere di Fidesz e grazie al supporto della frangia destrorsa più estrema. Proprio questo dominio parlamentare e lo strapotere della maggoranza sono le radici dei problemi dei cittadini ungheresi.
Già nel 2010, quando tornò al potere, Orbán aveva posto le prime limitazioni alla libertà di pensiero e stampa. Dal dicembre 2010 i media locali sono sotto il severo scrutinio dell’autorità di controllo nominata dal parlamento. Giornali, rete televisive e domini internet rischiano sanzioni economiche pesantissime nel caso in cui si rendano responsabili di «violazione – non meglio specificate – dell’interesse pubblico», o diffondano articoli «non equilibrati politicamente» o «ledano della dignità umana».
Nel 2012 le prime sferzate all’Unione Europea, rea a suo dire di essersi impicciata negli affari domestici ungheresi e nella scalata al potere di Orbán. L’Ue ha di fatto avviò la procedura di infrazione contro l’Ungheria per le modifiche costituzionali illiberali in atto dal primo gennaio 2012.
Per quanto riguarda il caso della banca centrale, la Magyar Nemzeti Bank, questa era stata riformata a fine 2011. Molti organi internazionali avevano espresso dure critiche alla riforma, che aveva messo seriamente a rischio l’autonomia della banca centrale dall’autorità del governo. Tali modifiche nell’assetto della banca centrale ungherese avevano causato l’interruzione dei negoziati con l’Unione Europea mettendo a rischio la concessione di un prestito del Fondo Monetario Internazionale.
Il passo definitivo verso l’autoritarismo competitivo è stato compiuto con la modifica costituzionale del 2013, che limitò l’esercizio di controllo della Corte Costituzionale sul parlamento. Ulteriori furono le restrizioni delle libertà politiche e civili: la possibilità di fare campagna elettorale attraverso i media venne ridimensionata, l’erogazione di fondi studenteschi vennero destinati da quel momento in poi solo a coloro che sarebbero rimasti nel Paese a lavorare dopo la laurea, furono previste sanzioni economiche e pene dententive per i senzatetto e l’idea di famiglia non avrebbe più incluso le unioni se non suggellate dal matrimonio, non funorono più considerate famiglie ile unioni senza figli e tra persone dello stesso sesso. L’anno dopo, nel 2014, Orbán vince le elezioni grazie a conclamati brogli elettorali. La legge elettorale, ritoccata nel 2012, aveva spianato la strada questo secondo mandato.
Nel 2018 il pacchetto “Stop Soros” incluse una modifica costituzionale che prevedeva il divieto di accoglienza dei migranti economici illegali. Una decisione che arrivò proprio nel momento in cui l’Europa aveva più bisogno della collaborazione dei suoi Stati membri.
Di fatto, la risposta dellìEuropa è stata fino inadeguata rispetto alla svolta autoritaria dell’Ungheria. Come scrive Judit Varga, ministro della giustizia ungherese, in una lettera aperta pubblicata su Euronews, il sistema ungherese si interroga sulla definizione dello stato di diritto e sulla sua difesa.
Urge una presa di posizione comunitaria, adeguata e tempestiva, che non deve essere interpretata necessariamente con l’estromissione dell’Ungheria dall’Unione. L’Ue non può e non deve abbandonare i cittadini ungheresi desiderosi di un sistema democratico. Forse anche ricordandosi che l’Ungheria, come la Polonia, fu uno dei primi Stati ad uscire dal regime sovietico, grazie alla mobilitazione popolare in favore della democrazia. Sperando che questo spirito non sia perito col tempo.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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