La partita siriana è sempre più un gioco a due attori con Russia e Turchia che tra dichiarazioni contrastanti e smentite continuano a guardarsi con diffidenza. Il ruolo di Assad tra due “pesi massimi” della regione.

1. NUOVA IMPASSE IN SIRIA?

Il futuro politico della Siria passa, necessariamente, da Idlib. Non può che essere così dopo l’accordo sancito lo scorso settembre tra Mosca e Ankara. Accordo che, stando a ciò che sta accadendo nelle ultime settimane, rischia seriamente di vacillare. Il 6 novembre il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, Vasili Nebenzia, ha avvertito in una riunione del Consiglio di sicurezza che i terroristi continuavano a preparare provocazioni con l’uso di armi chimiche nella zona interessata dall’accordo di settembre, creando ulteriori problematiche per i corridoi umanitari necessari per la popolazione. Dichiarazioni che hanno spinto molti a ipotizzare l’inizio di una nuova impasse. Idlib è una delle quattro aree di de-escalation (Homs-Hama, Daraa’, Ghouta, e Idlib) concordate da Russia, Iran e Turchia nel corso del processo negoziale di Astana. Nei mesi scorsi è balzata agli onori delle cronache per essere divenuta la roccaforte del gruppo Tahrir al Sham, di formazioni di ispirazione salafita, ma anche di ribelli dell’Esercito libero siriano appoggiati dalla Turchia. Idlib però è soprattutto la città nella quale sono confluiti gli oppositori al regime di Assad quando il rais completava la riconquista delle altre aree. Un’area strategica, dunque, crocevia del destino del Paese levantino. A complicare il quadro sono intervenute anche le dimissioni dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, che lascerà l’incarico per “motivi personali”, sostituito da Geir Pedersen.

Fig. 1 – Stretta di mano tra il presidente turco Erdogan e il suo omologo russo Putin

2. GLI ATTORI IN CAMPO 

Le tensioni nell’area non fanno che rivelare le rivalità, sotterranee ma non per questo non evidenti, tra Russia e Turchia, impegnate nella contesa per opposti motivi. Un vero e proprio rompicapo per i due pesi massimi della regione. Idlib per la Russia rappresenta il tassello finale e decisivo di tutta la sua strategia mediorientale. Per Erdogan, di contro, Idlib significa mettere una pedina nello scacchiere settentrionale della Siria e dunque sul suo fianco sud. La situazione si è fatta incandescente lo scorso 2 novembre, quando almeno otto persone sono morte a seguito di un nuovo bombardamento che ha colpito la provincia. Il ministro degli Esteri di Damasco ha espressamente accusato il Governo turco di non aver rispettato l’accordo, preannunciando un intervento delle forze lealiste di Assad nella regione. Secondo il Governo siriano, infatti, il gruppo jihadista Hayat Tahrir Al-Sham, che si era impegnato a rispettare i termini dell’accordo, non avrebbe ancora abbandonato la regione di Idlib. Di contro i ribelli siriani hanno dichiarato, come riportato da channelnewsasia.com , che «il regime ha preso di mira tutti i fronti della zona smilitarizzata e così abbiamo risposto colpendo le loro postazioni militari». A sostenerlo è stato il capitano Naji Abu Huthaifa, portavoce del Fronte di liberazione nazionale, un’alleanza di ribelli sostenuta dalla Turchia. Secondo lo stesso de Mistura, a Idlib ci sarebbero 10mila combattenti di Hayat Tahrir al-Sham – la formazione jihadista controllerebbe infatti circa il 60% della provincia, – mescolati a migliaia di altri miliziani di vari gruppi. Per gli osservatori più attenti i jihadisti non sarebbero disposti a negoziare la resa: al contrario, dal loro punto di vista un’offensiva particolarmente sanguinaria accrescerebbe la pressione della comunità internazionale su Russia e Siria, le quali permetterebbero agli islamisti di mantenere la loro enclave.

Fig. 2 – Manifestazione contro il Governo Assad nei pressi di Idlib

3. LA PARTITA A SCACCHI DI RUSSIA E TURCHIA

A rendere più complesso il quadro sono intervenute le ultime dichiarazioni del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, che ha messo in guardia contro un’eventuale offensiva del Governo siriano sull’ultima roccaforte di opposizione contro il presidente Bashar al Assad, ribadendo che Ankara potrebbe prendere in considerazione la possibilità di lavorare con il presidente siriano Bashar Assad in caso di un’elezione democratica e credibile. Il tutto proprio mentre da fonti russe cominciava a serpeggiare un certo malumore per un’impasse che dura da troppo tempo. Cavusoglu ha messo in guardia dunque il suo omologo Lavrov contro un’offensiva del Governo, affermando che causerà una «catastrofe umanitaria». «Il nostro obiettivo è di alleviare le preoccupazioni delle nostre controparti russe e liberarci dei terroristi in quella zona», ha detto nel corso di un briefing a Mosca la settimana scorsa. «Possiamo lavorare insieme, ma potremmo mettere a rischio la vita dei civili mentre sradichiamo quei gruppi radicali». Lavrov ha replicato evidenziando che quando Turchia, Iran e Russia hanno inizialmente negoziato le zone di cessate il fuoco, Mosca non si aspettava che i militanti «la usassero come uno scudo umano per attacchi contro il Governo di Damasco». Toni più concilianti invece sono stati usati a margine di un incontro tra i due capi delle diplomazie di Mosca e Ankara a Baku, in Azerbaigian. Cavusoglu ha sottolineato il dialogo «stretto» tra i presidenti Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, chiarendo che un nuovo vertice non sarebbe necessario in quanto attualmente non esiste una «situazione straordinaria» per quanto riguarda l’enclave dell’opposizione.

Stefano Di Bitonto