Il pericolo di una saldatura tra Houthi e Iran

Il gruppo sciita filo-iraniano degli houthi ha recentemente inasprito la propria retorica contro Israele, intensificando i rapporti politici e militari con l’Iran. Mentre Tel Aviv risponde dispiegando i sistemi antimissile a Eilat e rinforzando l’intesa con gli Emirati, la saldatura tra Houthi e Repubblica Islamica potrebbe diventare un ostacolo alle aperture dell’Amministrazione Biden nei confronti di Teheran.

GLI HOUTI MINACCIANO ISRAELE

«Non esiteremo a lanciare l’attacco più forte possibile contro obiettivi sensibili del nemico israeliano» qualora lo Stato ebraico intervenisse contro i ribelli sciiti houthi in Yemen. Le parole del leader Houthi Fadl Abu-Talib contro Israele, pronunciate intorno a metà gennaio, segnalano la volontà del gruppo scissionista yemenita di inasprire, almeno a parole, lo scontro con Tel Aviv. Sull’onda emotiva del primo anniversario dell’uccisione americana del generale delle forze iraniane Quds, Qassem Soleimani, e dello scienziato responsabile del programma nucleare di Teheran, Mohsen Fakhrizadeh, gli iraniani hanno deciso di aumentare concretamente il supporto militare agli insorti sciiti loro alleati in funzione antisraeliana. Secondo alcune fonti, infatti, Teheran avrebbe inviato agli Houthi droni suicidi in grado di raggiungere Israele o altri bersagli sauditi o americani nel Golfo entro un raggio di 2mila chilometri. Immagini ottenute da Newsweek e confermate da un esperto mostrano la presenza di alcuni Shaded-136 – questi “droni kamikaze” appunto – nel nord dello Yemen, precisamente nella provincia di al-Jawf, un’area controllata dagli insorti filo-Teheran. Un sostegno, quello iraniano ai ribelli houthi, garantito ormai da diversi anni, che contribuisce alla destabilizzazione dello Yemen e permette al Paese persiano di mantenere su più fronti la pressione su Israele.

Fig.1 – Un bambino porta una mitragliatrice durante una manifestazione Houthi a Sana’a, in Yemen, contro l’accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, 22 agosto 2020

Leggi anche: GLI HOUTHI CLASSIFICATI COME “TERRORISTI” DAGLI USA

LE CONTROMOSSE DI TEL AVIV

L’attenzione di Israele verso lo Yemen è cresciuta già da un po’ di anni, con una particolare rilevanza agli occhi dell’intelligence sionista della strategica isola di Socotra. La retorica antisraeliana degli Houthi ha inoltre suscitato la pronta risposta degli apparati di Tel Aviv, convinti che la vicinanza del gruppo all’Iran possa costituire un salto di qualità della minaccia proveniente da Teheran. Dopo le parole bellicose di Abu-Talib, lo Stato ebraico ha infatti dispiegato le batterie antimissile Iron Dome e Patriot a Eilat, città portuale dell’estremo sud di Israele, affacciata sul Mar Rosso. I servizi segreti israeliani credono infatti che gli Houthi abbiano a disposizione missili a lungo raggio in grado di arrivare proprio fino a Eilat o a Beersheba o che, in alternativa, possano colpire le navi dello Stato ebraico presenti nel Mar Rosso o nello Stretto di Bab el-Mandeb anche attraverso l’uso di mine navali e di piccole barche cariche di esplosivo. Ed è proprio in questo quadrante – tra Mar Rosso, Gibuti e Stretto di Bab el-Mandeb – che si sta concentrando l’attivismo della diplomazia israeliana. Lo storico accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti – firmato nell’agosto dello scorso anno con la mediazione interessata dell’Amministrazione Trump nell’ambito di una più ampia distensione tra mondo arabo e Israele – va in questa direzione. Abu Dhabi e Tel Aviv si impegnano infatti a rafforzare la loro cooperazione militare, stipulando anche un coordinamento bilaterale per la sicurezza. Una formula che potrebbe nascondere la possibilità per Israele di usufruire delle basi militari emiratine nella regione, avvicinando in modo tutt’altro che metaforico i confini di Israele a quelli iraniani.

Fig.2 – La città israeliana di Eilat affacciata sul Mar Rosso

ATTENZIONE ALLA SALDATURA HOUTHI-IRAN

Ciò che preoccupa Israele è una maggiore coordinazione tra Houthi e Iran, nell’ottica di un coinvolgimento più organico degli insorti sciiti alle milizie filo-iraniane sparse in tutta la regione. Se da un lato il gruppo yemenita non può considerarsi una diretta emanazione dell’Iran, i recenti sviluppi fanno pensare alla volontà degli Houthi di legarsi a doppio filo alle sorti della Repubblica Islamica. La convergenza tattica può servire a entrambi. All’Iran per nascondersi dietro eventuali attacchi ai rivali regionali. È ciò che è successo nel settembre 2019, quando missili e droni colpirono le installazioni della compagnia nazionale di idrocarburi saudita, la Saudi Aramco: un attacco rivendicato dagli Houthi, ma troppo ben organizzato per non immaginare un coinvolgimento iraniano. Anche il gruppo zaidita, però, potrebbe trarre beneficio da un avvicinamento all’Iran. Dal punto di vista interno per compattare il fronte che rimane unito soprattutto per meglio fronteggiare la potenza di Riyadh. Sotto il profilo internazionale, invece, far parte integrante del network di milizie pro-Teheran significa accrescere la propria legittimità e, quindi, aumentare anche il peso negoziale in possibili colloqui di pace con l’Arabia Saudita.

Fig. 3 – Sostenitori Houthi si recano al santuario del Presidente del gruppo zaidita Saleh al-Sammad, ucciso il 19 aprile 2018 in un attacco aereo durante la guerra in Yemen, 7 febbraio 2021

COSA SUCCEDE ORA CON L’APERTURA DI BIDEN?

Le grandi manovre in Medio Oriente alla luce dell’insediamento dell’Amministrazione Biden e del conseguente cambio tattico che adotterà nella regione – la strategia, invece, rimane fissa ormai da qualche decennio, ed è quella di evitare l’ascesa di un egemone, che sia l’Iran o la Turchia – riguardano anche gli Houthi, i loro sponsor e i loro nemici. Il neopresidente statunitense ha da poco adottato due importanti provvedimenti di politica estera che hanno ricadute su due attori molto attivi nella guerra in Yemen: gli Houthi, appunto, e l’Arabia Saudita. Biden ha deciso di rimuovere dalla lista delle organizzazioni terroristiche il gruppo ribelle – ribaltando la scelta pro-saudita di Trump – ufficialmente per motivi umanitari. Un cambio di marcia che segue l’altra importante presa di posizione, lo stop temporaneo alla vendita di armi e di F-35 a Riyadh. A parte la narrazione incentrata su considerazioni umanitarie, si scorge un’apertura tattica all’Iran. La volontà USA di rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 impone dei segnali che l’impero persiano deve saper cogliere se vorrà ripristinare anche i punti del JPCOA che riguardano le sanzioni sul Paese. In questo senso la possibile saldatura tra Houthi e Iran può mettere in difficoltà la riuscita di un appeasament tra Teheran e Washington, dato che il nodo del supporto iraniano ai proxies in Medio Oriente rimane di cruciale importanza per ogni Amministrazione americana e che Israele resta refrattario a qualsiasi apertura ai persiani. È pur vero che il gioco delle parti comporta prima l’irrigidimento delle posizioni, per cui anche gli Houthi potrebbero voler sfruttare la vicinanza all’Iran sperando di rivendicare una sovranità nella terra yemenita nell’ottica di una risoluzione della crisi nel Paese.

Di Vittorio Maccarrone. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico

Immagine di copertina: “Air strike in Sana’a“, by ibrahem Qasim is licensed by CC BY