Di tutti i conflitti latenti, il rischio di un secondo conflitto tra Israele e Hezbollah in Libano è il più pericoloso per le ricadute regionali. E riguarda da vicino i militari italiani di Unifil
«La propensione dell’amministrazione Trump a irritare gli alleati ed elogiare e proteggere gli avversari rende difficile comprendere la direzione potenziale della politica estera Usa nelle questioni di sicurezza, commercio ed economia», diceva qualche mese fa un rapporto del Csis, l’Istituto di studi strategici di Washington.
È per questo che dopo l’omicidio di Qassem Soleimani, amici e nemici mediorientali faticano a prevedere cosa accadrà.
Scenari incerti
Come risponderanno gli iraniani dopo i funerali del loro eroe? E soprattutto cosà farà Trump: tornerà alla cautela diplomatica o resterà in modalità guerriera, posture entrambe sperimentate con una certa schizofrenia? Per noi in Europa la risposta significa qualche punto in meno nei listini di Borsa o un relativo aumento del prezzo del petrolio. Per yemeniti, sauditi, iracheni, siriani, giordani, libanesi e israeliani è pace o guerra, bombe, profughi. Perché è possibile che americani e iraniani decidano di non intensificare il loro conflitto oltre i livelli di guardia. Ma è invece probabile che la morte di Soleimaini provochi onde d’urto nella regione: che dove si combatte gli scontri s’intensifichino e dove c’era quiete si torni a sparare.
Lo spettro libanese
Di tutti i conflitti latenti e in corso, il più pericoloso è una seconda guerra fra Israele ed Hezbollah libanese, dopo quella disastrosa (per entrambi) del 2006. Rispetto allo scontro di allora, la milizia-partito sciita filo iraniana sostiene di avere un arsenale di migliaia di missili, più potenti e accurati di prima. È probabilmente vero. Ma rispetto ad allora nemmeno gli israeliani sono rimasti con le mani in mano, come da tradizione quando commettono degli errori che riguardano la sicurezza nazionale.
Nello Yemen il massacro di civili potrebbe riprendere peggio di prima ma il mondo continuerebbe a ignorarlo; se gli iraniani colpissero di nuovo le raffinerie saudite, i sauditi potrebbero rivalersi sulle loro: l’aviazione di Riad è di gran lunga più potente di quella iraniana; da Baghdad gli americani non avrebbero problemi ad andarsene e il Nord della Siria è in fiamme da anni.
L’impegno italiano con Unifil
L’unico conflitto “minore” che potrebbe contagiare l’intera regione e provocare conseguenze anche fuori dal cortile mediorientale, è quello fra Israele ed Hezbollah. È bene ricordare che dal conflitto del 2006 nel Sud del Libano c’è l’Unifil, i circa 10mila militari della forza multinazionale d’interposizione delle Nazioni Unite. Il comandante è un italiano, il generale Stefano Del Col; anche il contingente più grande, 1068 donne e uomini, è italiano. Un aggravamento della tensione al confine fra Libano e Israele è un problema che ci riguarda.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore, continua a leggere qui
FOTO: Truppe Unifil di pattuglia in Libano dopo l’uccisione di Qassem Soleimani
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