Non c’era soltanto Khashoggi. Un recente articolo del New York Times ha svelato l’esistenza di un piano segreto del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman mirato a mettere a tacere i dissidenti e gli oppositori politici. Una vasta operazione, partita almeno un anno prima dell’omicidio del giornalista, che includeva sorveglianza, rapimenti, rimpatri obbligatori, detenzione e tortura. Secondo il materiale classificato citato da un ufficiale Usa, la campagna sarebbe stata nominata Saudi Rapid Intervention Group e avrebbe incluso almeno una decina di missioni durante l’anno 2017. Può esserci spazio per gli oppositori nel Regno saudita? Ne avevamo scritto in Babilon n. 3
Sono passati ormai due anni dall’ascesa al trono del principe ereditario Mohammad bin Salman. Un nuovo principe, giovane, aperto culturalmente, visionario in econo- mia. Più liberale e attento ai diritti umani. Un film perfetto, soprattutto se la Vision 2030 che MbS ha in mente dovesse andare in porto come preventivato dalla parte più giovane della famiglia Saud che lo appoggia. L’ascesa fulminante al trono saudita non conosce ostacoli, sembrerebbe. Un percorso già tracciato, da percorrere soltanto. Può esserci spazio alle opposizioni su questo cammino verso il futuro saudita?
La risposta è no. Almeno per ora. Mohammad bin Salman nella sua visione futuristica che mira al 2030 sembrava avesse individuato già da tempo da quali sponde sarebbero potuti spuntare i suoi nemici. Vecchi o nuovi che fossero. Se i primi passi del suo regno in divenire sono stati segnati dalla rimozione dei suoi ex predecessori che ne avevano osteggiato l’ascesa, lo zio Mohammad bin Nayef su tutti, pochi mesi dopo il nuovo principe ereditario ha provveduto a rimuovere dal suo cammino anche chi, un suo nemico, lo sarebbe potuto diventare domani.
La notte del Ritz Carlton Hotel passerà alla storia come una delle guerre lampo interne più veloci nella storia del Regno Saudita. Una manovra simile, con simili quantità di soldi sequestrati in tutto il mondo e con una simile velocità di esecuzione, richiede mesi di programmazione. Millecinquecento conti bancari chiusi, o congelati, nella nebulosa galassia degli investimenti internazionali degli uomini più ricchi dell’Arabia Saudita non sono uno scherzo da poco. Con quest’operazione il principe aveva in mente tre obiettivi da centrare. Il primo consisteva nel lanciare un messaggio. Nel Regno non c’è spazio per gli oppositori. Presenti, passati o futuri che siano. Il messaggio è stato inviato con successo e sembra sia stato recepito. Il secondo obiettivo era presentare il nuovo volto del Regno nel mondo. È finito il tempo della corruzione dilagante nella terra dei Saud. Non sarà più concesso neanche agli stessi membri della famiglia reale intascare illecitamente un solo centesimo. Colpo di mano alla corruzione, ma rispettando le regole del gioco.
Tutti i seque strati del Ritz Carlton Hotel saranno giustamente processati. I colpevoli pagheranno il loro conto salato con la giustizia. A meno che non siano disposti a pagare una penale per chiudere anticipatamente la pratica. E questo ci porta dritti al terzo obiettivo che il giovane Salman si poneva. Un salvagente economico stimato attorno ai 300 miliardi di dollari, se mai riuscirà l’impresa di intascare tutte le penali degli indagati coinvolti. Un ammortizzatore che dovrebbe essere riutilizzato per affrontare al meglio le ingenti riforme eco- nomiche e sociali che attendono il Paese.
La Vision 2030 saudita, inevitabilmente, intaccherà il tessuto sociale del Paese. Il mercato del lavoro dovrà essere aperto a chiunque, se si vorrà sgravare il Regno dai sussidi che lo stesso versa ai suoi cittadini. L’operazione di Salman, in apparenza, sembra semplice. Meno sussidi, più tasse, uguale più diritti concessi. Questi porteranno la parte regnante della dinastia Saud in collisione anche con il clero wahhabita, il garante dell’integrità spirituale del Regno. Da questo campo potrebbe giungere qualche problema? Non sembrerebbe. L’arresto, due anni fa, dell’importante imam del clero wahhabita Muhammad Muhaysini, fu anch’esso un messaggio chiaro da lanciare a un’altra categoria di oppositori.
Cosa ne resta, allora, degli oppositori interni di MBS, se anche la categoria dei giornalisti è stata messa sull’attenti con il raccapricciante scandalo di Khashoggi? Niente. Perché è così che funziona, e funzionerà, nel Regno che verrà del giovane Salman. Al netto delle difficoltà che il principe ereditario troverà sul suo cammino. Si può ipotizzare, allo stato attuale, una figura che possa spodestare, o minimamente scalfire MBS dalla sua ascesa al trono? Non sembrerebbe. In fondo è così che funziona ovunque non siano rispettati i canoni classici della democrazia. L’oppo- sizione, se concessa, è esule, in esilio. E anche lontano dal Regno, è sempre meglio tenere un occhio aperto. Così funziona in Russia, Egitto, Turchia e ovunque ci siano figure che accentrino nelle sole loro mani il potere. Salman, sotto questo punto di vista, non fa alcuna differenza. Se, e quando, emergerà una figura in grado di sfidare l’erede al trono dei Saud ce ne accorgeremo. Perché parte del potere, lentamente, inizierà a scivolare via dalle mani del principe. L’Arabia Saudita non è un Paese da colpo di stato. Per ora al principe è concesso quasi tutto, anche se l’affaire Kashoggi potrebbe portare alla luce qualche crepa nascosta. Ma per ora l’opposizione rimane non pervenuta.
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