Boris Johnson ha forse tirato fuori dal cassetto il sogno che aveva conservato per tutta la vita. È stato eletto eletto capo del Partito conservatore in seguito alle dimissioni di Theresa May e si appresta a diventare il prossimo primo ministro del Regno Unito. Alexander Boris de Pfeffel Johnson, 55 anni, è stato sindaco di Londra, ministro degli Esteri e ancora prima giornalista. Avrebbe qualcosa in comune con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Imprevedibile, scompigliato, controverso, quasi iconico. Spesso incline a commenti razzisti, piace ai nazionalisti bianchi e arriva alla pancia della gente. Secondo un recente sondaggio di YouGov, il 25% dei cittadini britannici pensa che possa dimostrarsi un buon primo ministro, ma il 58% crede invece che non lo sarà. Il Finalcial Times riprende una sua vecchia battuta sul motivo che lo avrebbe spinto a lasciare il giornalismo per la carriera politica: «Non fanno le statue ai giornalisti».
La nomina a capo del partito è arrivata alla fine di un lungo processo, che Johnson puntava a vincere. Tra i 160mila membri Tory, i sondaggi davano i due terzi dalla parte di “Boris”. È quello che il Partito Conservatore desiderava per portare finalmente al termine la difficile avventura di Brexit. I Tories vogliono l’uscita dall’Ue entro e non oltre la data del 31 ottobre. Secondo più letture, l’approccio di Johnson potrebbe spaccare Regno Unito e determinare conseguenze economiche disatrose per l’economia. Gli scozzesi sembrano abbastanza detreminati, il Partito nazionale scozzese ha già detto di volere un nuovo referendum. La scelta sarebbe tra lasciare il regno di Sua Maestà o restare nell’Ue.
Per quanto riguarda l’Irlanda del Nord, il no deal a cui Boris Johnson punta se dovesse andare tutto male entro la fine di ottobre, porterebbe al “confine duro” tra il nord e la Repubblica irlandese. Su questo fronte le incognite sono molte di più. La ragione per cui il piano May era stato sonoramente bocciato riguarda il famoso backstop, questione relativa al confine di cinquecento chilometri tra l’Irlanda (Stato membro UE) e l’Irlanda del Nord (Nazione costitutiva del Regno Unito). Una clausola di salvaguardia che serve a evitare proprio il ritorno a un confine rigido, ovvero il ritorno ai controlli alla frontiera, tra le due Irlande. Si manterrebbe un’area doganale comune comprendente l’UE e il Regno Unito e in cui Belfast rimarrebbe sostanzialmente all’interno del Mercato unico. È stato considerato inaccettabile per gli oltranzisti del Partito conservatore e per gli unionisti nordirlandesi.
Il prossimo primo ministro britannico infatti non ha escluso l’ipotesi del no deal, scenario da molti considerato più di un terribile salto nel vuoto. Il piano di May è stato bocciato per tre volte dal Parlamento e da Bruxelles hanno fatto capire di non essere dispsposti a trattare su questioni cruciali dell’accordo, motivo per cui il no deal a questo punto sarebbe ancor meno da escludere. L’approccio di Johnson all’uscita del Regno Unito dall’Europa, una questione di vita o di morte, è la linea che i conservatori hanno sposato per non perdere consensi. Il Partito della Brexit di Nigel Farage sta mangiando i voti dei conservatori, come hanno dimostrato le ultime elezioni europee. Alle elezioni di maggio gli schieramenri pro Brexit e contro Brexit si erano dimostrati i più forti, ma Farage alla fine delle consultazioni era emerso il vero vincitore. Il Partito conservatore a tre anni dal referendum non è riuscito a portare a casa Brexit nonostante i due rinvii e per sopravvivere dovrebbe farlo adesso, entro il termine del 31 ottobre. Tutto questo ha favorito l’ascesa di Johnson e l’ha resa accetabile anche ai Tories con posizioni più inclini all’Unione Europea.
Photo: Boris Johnson, via Twitter
Redazione
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