Solo fino a qualche settimana fa, la vittoria del Bjp e un secondo mandato per il suo leader, Narendra Modi, sembravano un fatto scontato. La vittoria del 2014 era stata travolgente per il suo partito segnando al contempo il punto elettorale più basso mai raggiunto dal Congress della famiglia Gandhi, allora al governo. Nelle elezioni locali degli anni successivi la personalità di Modi e la forza del suo messaggio nazional-religioso induista avevano sottratto al vecchio partito laico, fondatore dell’India contemporanea, il controllo di 11 stati dell’Unione Indiana.
Il programma economico era un altro pilastro del successo di Modi. Nell’anno finanziario 2016-17 l’India è cresciuta dell’8,2%; per il 2019-20 è prevista una crescita del 7,5%, superiore al 7,2 in precedenza annunciato. “Siamo l’economia con il più alto tasso di sviluppo al mondo”, sosteneva il ministro delle Ferrovie Piyush Goyal presentando l’“interim budget” all’inizio di febbraio. “La crescita media del Pil negli ultimi cinque anni è superiore a quella raggiunta da ogni altro governo dall’inizio delle riforme del 1991”.
C’è in questo un po’ di propaganda elettorale; e il primato mondiale indiano è dovuto anche al rallentamento pilotato dell’economia cinese. Tuttavia c’era del vero nelle affermazioni di Goyal, ed è per questo che si dava per scontata la conquista di un secondo mandato per Narendra Modi. Si vota per il rinnovo del Parlamento fra aprile e maggio. Per grandezza del paese, numero degli elettori, difficoltà logistiche e per tradizione, in India non c’è un solo giorno elettorale. Alle prime elezioni del 1951-52 ne servirono 120. È il prezzo che paga la democrazia indiana, la più popolosa che esista. Cinque anni fa, telefonandogli per congratularsi della vittoria, l’allora premier inglese David Camerun disse che Modi era il politico più votato al mondo.
Ma la nuova la vittoria data per certa in origine, ora incomincia a vacillare. Modi è ancora in testa nei sondaggi ma il vantaggio si erode. Nelle elezioni locali degli ultimi sei mesij– figlio di Sonia e di Rajiv Gandhi, nipote di Indira e pronipote di Jawaharlal Nehru – ha conquistato tre stati tradizionalmente hindu e controllati dal Bjp: Rajasthan, Madhya Pradesh e Chhattisgarh.
È poi scoppiato il caso dei “dati nascosti”. Sembra che il governo abbia censurato alcune statistiche che davano una percentuale di disoccupazione più alta di quella ufficiale. In India dove l’80% della manodopera lavora nel settore informale, è difficile definire con esattezza cosa sia occupazione. Nonostante questo, per eredità della burocrazia britannica e per la predisposizione alla matematica degli indiani, le statistiche sono una cosa seria e vi si dà grande importanza. In realtà, il dato causa dello scandalo è una correzione dal 4,9 al 6,1%. Sembra poco ma in un paese con più di 1,3 miliardi di abitanti, 500 milioni dei quali in età da lavoro, significa 30 milioni di disoccupati. Era da 45 anni che non si registrava un dato così alto.
Infine, a rafforzare le speranze di Rahul Gandhi, inaspettatamente è scesa in campo sua sorella Priyanka che agli indiani ricorda molto l’amata Indira Gandhi. Priyanka si occuperà dell’organizzazione elettorale del Congress nell’Uttar Pradesh, lo stato più popoloso (più di 200 milioni di abitanti), cuore dell’hunduismo, collegio della dinastia Nehru-Gandhi e “battleground” di ogni elezione indiana. L’aspetto dinastico-familiare del Congress è palese ma il Bjp non può protestare: il 44,4% dei suoi deputati sono figli di ex deputati e ministri.
Il nepotismo è parte della cultura politica ed economica indiana. Le più grandi industrie private del paese sono a conduzione familiare: dai Tata ai Mahindra, dagli Ambani ai Bajaj, ai Godrej. Solo nel settore hi-tech è diverso.
La cultura indiana ha sviluppato una crescente impazienza verso i risultati economici e sociali dei partiti di governo. Nel corso dei decenni è diventato sempre più difficile che a una forza politica si rinnovasse la fiducia per un secondo mandato. Nel caso specifico di Modi, la sua conduzione dell’economia ha certamente garantito il quinquennio di crescita più alto. Ma allo stesso tempo, come nei paesi sviluppati e in via di sviluppo, è aumentato il divario fra il 5% sempre più ricco e il resto del paese. L’“anti-incumbency” è il prezzo che impone la democrazia indiana.
Chiunque governerà a partire dal prossimo maggio, tuttavia non verranno meno due pilastri dell’India contemporanea: sul piano geopolitico resterà un paese con tanti amici ma orgogliosamente nessun alleato. L’India è stata molto vicina all’Unione Sovietica e oggi lo è agli Stati Uniti: ma non ha mai fatto parte del sistema di alleanze né dell’una né degli altri. Sul piano economico le riforme continueranno. Ci possono essere enfasi diverse sulle politiche sociali (anche qui minime). Ma il processo di cambiamento economicoe di progressivo smantellamento del “License Raj”, l’impero della burocrazia, è iniziato nel 1991 con il Congress, ed è stato perseguito con coerenza dal Bjp quando è andato al governo nel 1998-2004 e nel 2014.
L’India ambisce a diventare in un futuro molto vicino la seconda economia del mondo per dimensioni (ora è la quinta); in meno di un ventennio questa economia dovrà valere 15mila miliardi, rispetto ai 2,6 di oggi; vuole competere con la Cina, la sua nemesi, facendo crescere la media del reddito pro-capite oltre gli attuali 11.000 dollari. Se questi sono gli obiettivi di New Delhi, il secondo governo di Narendra Modi o il primo di Rahul Gandhi e i loro successori non potranno prescindere dall’affrontare le riforme di “seconda generazione”: nuova legislazione sulla proprietà e l’acquisizione dei terreni; mercato del lavoro (in India esistono 1.200 sistemi di salario minimo); infrastrutture con una nuova enfasi per la collaborazione pubblico-privato; agricoltura; tassazione diretta che oggi garantisce solo il 16,8% del Pil (la media Ocse è 34%).
Come in ogni vigilia elettorale, il partito di governo fa qualcosa di populista. Modi ha improvvisamente ridotto la capacità di manovra – “chiarimento delle regole”, è stato chiamato – di Walmart e Amazon che hanno fatto grandi investimenti in India. Certo i commercianti sono tradizionalmente elettori del Bjp. Ma passate le più grandi elezioni democratiche del mondo, lui o Gandhi torneranno pragmaticamente alle cose necessarie da fare.
Ugo Tramballi
articolo pubblicato su ispionline.it
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