Lunedì unità militari di India e Cina si sono scontrate brutalmente nel Ladakh, riportando diversi morti e feriti. Si tratta del peggiore incidente di frontiera tra i due Paesi dal 1975 e potrebbe avere conseguenze molto gravi per tutta la regione himalayana.
L’incidente è avvenuto nella valle di Galwan, situata a ridosso della Line of Actual Control (LAC) che separa le posizioni indiane da quelle cinesi nel Kashmir orientale dal 1962. Da settimane l’area è al centro di forti tensioni tra i due giganti asiatici: la Cina si oppone infatti alla costruzione di una strada sul versante indiano della LAC, vista come una potenziale minaccia alla propria presenza in Ladakh, e ha dispiegato migliaia di soldati e decine di mezzi corazzati per bloccare l’iniziativa indiana, provocando una speculare escalation militare da parte di New Delhi. Ciò ha dato vita a numerosi litigi e tafferugli tra gli opposti schieramenti, col rischio di degenerare ulteriormente in vero e proprio conflitto armato. Le autorità indiane hanno accusato ripetutamente la People’s Liberation Army (PLA) di essere entrata illegalmente nel proprio territorio nazionale, mentre quelle cinesi hanno accusato i militari indiani di comportamenti aggressivi e provocatori. Nonostante ciò, gli sforzi diplomatici dei due Governi sembravano aver portato nei giorni scorsi a una graduale de-escalation e all’apertura di un dialogo pacifico per risolvere la situazione.
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Le cose sono invece drammaticamente precipitate lunedì notte, quando soldati indiani e cinesi si sono scontrati apertamente durante una manovra di de-escalation nel settore di Galwan. I dettagli sono ancora confusi e le due parti si rinfacciano la responsabilità dell’accaduto, ma il bilancio è comunque pesantissimo: 20 morti da parte indiana e forse 5 da parte cinese, con decine di feriti (alcuni gravissimi) da ambo le parti. La maggior parte delle vittime indiane sarebbe deceduta a causa delle ferite riportate, principalmente inferte con pietre e bastoni, e delle temperature gelide tipiche di tale area montana. Successivamente i comandanti delle unità coinvolte nella “battaglia” sono riusciti a riportare la calma e a effettuare pacificamente il ritiro dei propri uomini sulle posizioni stabilite dagli accordi di de-escalation. Ma c’è ora il rischio concreto di un conflitto armato sino-indiano su larga scala.
Sia il Governo indiano che quello cinese stanno cercando di risolvere la crisi per via diplomatica. Social e giornali indiani sono ovviamente furibondi per la vicenda, ma per ora il Governo Modi frena su eventuali rappresaglie contro Pechino, conscio che il Paese non può permettersi una guerra nel bel mezzo dell’epidemia di Covid-19 e di una grave crisi economica. Ma la rabbia popolare e l’intransigenza cinese, esemplificata dai toni duri del portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian, potrebbero constringerlo ad azioni di forza con conseguenze devastanti per l’intera regione himalayana. La tensione è quindi altissima e i prossimi giorni saranno decisivi per l’evoluzione della crisi.
Ieri, 17 giugno, c’e’ stato un lungo colloquio telefonico tra i Ministri degli Esteri di India e Cina per fare il punto della situazione. Alla fine sembra essere stato confermato l’impegno comune per una de-escalation e per la ricerca di una soluzione diplomatica alle dispute nell’area. Ma le posizioni di fondo restano lontanissime: oltre a rinfacciarsi la responsabilità per la strage di lunedì notte, i due governi litigano infatti anche sul controllo della valle di Galwan, rivendicata esplicitamente dalla Cina. Il Ministro degli Esteri indiano Jaishankar ha anche confermato che ci saranno “serie ripercussioni’ per il futuro delle relazioni sino-indiane. Una di queste “ripercussioni” potrebbe essere un boicottaggio dei prodotti cinesi in India, richiesto a gran voce sia da esponenti politici che semplici cittadini. Intanto, infuriano le polemiche a Delhi per il modo in cui il Premier Modi ha gestito la crisi e per la sua politica “personalistica” verso Pechino.
Di Simone Pelizza, responsabile desk Asia de Il Caffè Geopolitico
Simone Pelizza
Ricercatore, piemontese doc, laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano, poi gli studi in Gran Bretagna. Asia e Russia, le aree di maggiore interesse. Membro della Società Italiana di Storia Militare, autore di brevi contributi su alcuni giornali accademici.
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