La relazione speciale con la Repubblica Popolare Cinese domina le relazioni internazionali del Pakistan. Pechino è per Islamabad “l’alleato per tutte le stagioni” e tale resterà anche con l’ascesa al potere di Imran Khan. La crescente presenza cinese in Pakistan, motivata da una cascata di nuovi investimenti, sta destando l’attenzione di Washington, intenzionata a contrastare l’influenza dell’ex Impero celeste in Asia meridionale.
Il Pakistan è con l’acqua alla gola a causa di una profonda crisi economica. Per il governo la strada è già segnata: un nuovo prestito del Fondo Monetario Internazionale o, in alternativa, uno garantito dalla Cina, che non farebbe che aumentare il debito e la dipendenza da Pechino.
Il segretario di stato americano Mike Pompeo in un’intervista per CNBC ha avvertito che qualsiasi prestito del FMI al Pakistan, il secondo in 5 anni, non dovrà provvedere a finanziare gli investimenti cinesi. Secondo il Financial Times, le autorità pakistane starebbero appunto valutando di chiedere un prestito di 12 miliardi di dollari all’istituzione finanziaria. Dal 1980 ad oggi il Pakistan ha avviato 14 programmi finanziati dal FMI, incluso il prestito di 6,7 miliardi varato nel 2013. Inoltre, il Paese asiatico ha usufruito di di 5 miliardi di dollari elargiti dalla Cina e le banche cinesi hanno finanziato i maggiori progetti infrastrutturali pakistani.
Il fulcro delle relazioni sino-pakistane è il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), una a serie di interventi tesi a migliorare le linee ferroviarie e i porti legata a doppio filo alla One Belt, One Road Initiative. Il corridoio dal 2015 punta a collegare i due Paesi attraverso una rete di strade, gasdotti e altre infrastrutture per un totale di 60 miliardi di dollari di investimenti. Il CPEC passa però attraverso tre regioni fortemente instabili: Il Kashmir, il Belucistan e lo Xinjiang.
Il CPEC connette Gwadar, nella provincia sudoccidentale del Belucistan, alla regione cinese dello Xinjiang attraverso una rotta di 2,700 chilometri che corre lungo il territorio montagnoso del Gilgit-Baltistan, nella zona più a nord del Pakistan. Gli effetti sull’economia pakistana del CPEC dovrebbero arrivare molto lentamente e farsi sentire tra il 2017 e il 2030.
Degli oltre 43 progetti iniziali del corridoio 20 sono in fase di realizzazione o sono già stati completati, mentre altri 157 saranno realizzati nei prossimi 12 anni, si legge in un comunicato dell’ Associated Press. Il quadro però non è molto chiaro. Sul corridoio tra Cina e Pakistan si staglia un’alone di mistero perché il governo pakistano non è stato ancora abbastanza preciso nel definire l’impatto degli investimenti né sugli affari locali né sulle infrastrutture. La sensazione è che il CPEC sia molto più conveniente alla Cina che al Pakistan, i cui guadagni sarebbero limitati. Inoltre, man mano che emergono dettagli sul piano, le ambizioni nazionali sembrano venire superate dalla resistenza dei residenti.
Gwadar è il cuore pulsante del China-Pakistan Economic Corridor. La città affacciata sul Mare Arabico, nel sud del Belucistan, grazie al CPEC dovrebbe essere trasformata in un porto commerciale. La sua costruzione però non verrà affidata alla forza lavoro locale, ma alla manodopera proveniente dalla Cina. È difficile quindi immaginare che Gwadar possa arrivare a godere dei vantaggi economici del corridoio, anche perché il Pakistan ha riconosciuto i diritti di locazione alla China Overseas Port Holding Company attraverso un accordo che riconosce alla Cina il 91% dei profitti e a Islamabad solo il 9%, mentre il governo della provincia del Belucistan rimarrà completamente a bocca asciutta.
Il punto è che la Cina non si accontenterà di un semplice porto commerciale che la metta in connessione con il Golfo Persico e il Mare Arabico. Pechino avrebbe posato gli occhi su Gwadar per farne una base militare o navale. L’approdo sarebbe quindi uno dei nodi centrali di un cordone di installazioni cinesi disposte lungo l’Oceano Indiano, cordone che porrebbe la Cina in un’ottima posizione per affrontare iniziative strategiche vis-à-vis con la rivale India.
Il China-Pakistan Economic Corridor è infatti osteggiato dal governo di New Delhi che vede la base di Gwadar un mezzo per accerchiare l’India via mare. Per questo motivo gli indiani proveranno a negare alla Cina l’accesso alle acque dello Stretto della Malacca. L’iniziativa inoltre si inscrive in una strategia di contenimento che la Cina porta avanti da anni e che si fonda sulla partnership economica e militare con Bangladesh, Bhutan, Myanmar Nepal e Sri Lanka.
L’esclusione dai ricavi del corridoio avrebbe come diretta conseguenza un aumento dell’instabilità nel Belucistan, provincia ricca di minerali e gas naturale che da tempo chiede maggiore autonomia politica ed economica al governo centrale. L’ostilità verso Pechino e verso Islamabad, dovuta alla marginalizzazione economica, servirebbe solo ad acuire la tensione e ad aumentare il raggio d’azione dei ribelli indipendentisti che hanno già fatto molte vittime tra i pakistani impiegati a lavorare nei cantieri del CPEC. La spirale di violenza potrebbe estendersi anche ai lavoratori cinesi. L’11 agosto a Dalbandin, a quasi 340 km a sud ovest della capitale Quetta, si è verificato un attacco suicida contro un autobus che trasportava dei minatori cinesi. L’attacco, rivendicato dal Baloch Liberation Army (BLA), ha causato solo alcuni feriti ma è il sintomo della crescente insofferenza verso i progetti a guida cinese nell’area.
Il CPEC passa anche attraverso la porzione del Kashmir controllata dal Pakistan. L’India è contraria al progetto anche a causa delle sue rivendicazioni sulla regione, che sta pagando a proprie spese il costo del rafforzamento delle relazioni tra Pechino e Islamabad. Gli abitanti del Kashmir chiedono l’indipendenza, ma sia l’India che il Pakistan si rifiutano di allentare il controllo sul territorio, insieme alla Cina che occupa una parte della regione. Gli investimenti riguardano i particolare il Gilgit-Baltistan, area amministrata dal Pakistan, per cui il CPEC rischia di rafforzare la presa di Islamabad e di mantenere lo status quo. Non a caso il Jammu Kashmir Liberation Front, movimento politico indipendentista, contesta duramente il progetto. Come per il Belucistan, anche per il Kashmir le occasioni economiche sarebbero quasi nulle dal momento che i progetti sono tutti in mani cinesi.
Lo scopo del CPEC non è tanto stimolare la fragilissima economia pakistana, ma consolidare l’amicizia tra Cina e Pakistan. Per Pechino, inoltre, il corridoio avrebbe il grande merito di rendere il Medio Oriente più accessibile. Le ricadute economiche pertanto non sembrano paragonabili a quelle strategiche. Il corridoio è un un vasto progetto che ha il potenziale di riconfigurare la geopolitica dell’Asia meridionale, soprattutto tenuto conto del peggioramento dei rapporti tra Washington e Islamabad. Dunque, dopo 17 anni al fianco degli USA nella guerra in Afghanistan, il Pakistan guarda con interesse sempre maggiore a Oriente.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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