L’accordo raggiunto a Bruxelles sul Recovery Fund è un risultato potenzialmente promettente per il futuro dell’Unione Europea. Mutualizzazione del debito e comunione di intenti tra gli Stati più grandi potrebbero aprire la strada per una maggiore integrazione. Sarà fondamentale mantenere l’unità per disinnescare le spinte anti-europeiste e, per l’Italia, dimostrare di saper spendere i fondi di cui sarà destinataria.
Dopo quattro giorni di estenuanti riunioni e trattative, i ventisette leader degli Stati Membri dell’Unione Europea hanno finalmente trovato un accordo sul pacchetto “Next Generation EU” (valore totale 750 miliardi di euro), il quale al suo interno prevede varie linee di finanziamento, tra cui la principale è la Recovery and Resilience Facility (RRF – 672,5 miliardi suddivisi in 360 miliardi di prestiti e 312,5 miliardi di erogazioni a fondo perduto). Quale valutazione si può trarre alla luce di un simile risultato? La montagna ha partorito un “topolino” oppure si tratta di un accordo davvero ambizioso che potrebbe davvero cambiare il percorso dell’Unione Europea?
Come (quasi) sempre, la verità sta nel mezzo. L’accordo sul Recovery Fund è stato comprensibilmente il frutto di un compromesso tra le varie anime politiche presenti in Consiglio Europeo. Tuttavia, in questo caso non sembra essere stato un compromesso al ribasso, come altre volte è accaduto nel timore di fare passi avanti nel percorso di integrazione economica e politica. Come spieghiamo nel pezzo di Paolo Pellegrini, per la prima volta gli Stati Membri hanno accettato di dare inizio ad un processo di mutualizzazione del debito: certo, le risorse raccolte sul mercato saranno circoscritte e utilizzate per progetti specifici, ma la decisione presa lunedì 20 luglio a Bruxelles contiene l’embrione di una possibile rivoluzione nell’approccio comunitario, che potrebbe aprire la strada al completamento dell’Unione Economica, che permetterebbe finalmente all’unione monetaria di funzionare al meglio e che potrebbe disinnescare (seppur in un’ottica di medio-lungo periodo) la carica anti-europeista dei movimenti sovranisti di mezza Europa.
Fig. 1 – Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte arriva a Bruxelles per la riunione decisiva
D’altro canto, ci sono anche alcune ombre che evidenziano la divergenza di vedute tra i Paesi membri. L’aumento dei rebates (rimborsi al contributo nazionale al budget UE) ottenuto da parte dei cosiddetti “frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia più Finlandia) non è un segnale positivo in ottica di un’integrazione futura e potrebbe forse presagire per il futuro un’Europa “a più velocità” o “a cerchi concentrici”. Così come il “freno di emergenza” sui piani di spesa nazionali, che potrebbe essere invocato e preso in esame in seno al Consiglio (dunque dall’organo più politico, e non dalla Commissione che è invece indipendente dalle posizioni dei singoli Stati), potrebbe portare ad un rallentamento nell’implementazione dei fondi e a far uscire da sotto il tappeto contrasti che erano stati temporaneamente “sopiti”.
L’accordo sul Recovery Fund ha anche importanti implicazioni geopolitiche. Forse per la prima volta tutti i Paesi più grandi si sono trovati in maniera compatta dalla stessa parte. L’asse franco-tedesco, decisivo per determinare dove far pendere l’ago della bilancia, ha giocato la stessa partita di Italia e Spagna. La Cancelliera tedesca Angela Merkel, non più leader “riluttante”, ha messo in campo la sua esperienza e tenacia ed è stata il personaggio chiave per piegare le resistenze del Premier olandese Rutte. Come si diceva prima, è ancora presto per affermare se questa convergenza durerà, ma l’accordo conseguito in questi giorni è la più grande manifestazione di lungimiranza dell’UE probabilmente dai tempi del trattato di Maastricht.
Fig. 2 – La cancelliera Angela Merkel ha dimostrato tutta la sua leadership all’ultimo Consiglio Europeo
Infine, alcune considerazioni sull’Italia. Il nostro Paese sarà il maggiore beneficiario della Recovery and Resilience Facility, ottenendo fino al 28% dei fondi disponibili tra sussidi e prestiti (per un totale di circa 210 miliardi di euro). È bene specificare “fino al 28%”, perché molto dipenderà dalla capacità delle Istituzioni italiane di presentare progetti validi e di riuscire a spendere le risorse assegnate (cosa in cui non siamo affatto esemplari, considerato l’elevato tasso di fondi strutturali non utilizzati). Questo non vuol dire che l’Italia sarà commissariata o che avremo la “troika” sull’uscio di casa, ma semplicemente che i fondi dovranno essere utilizzati per progetti in settori specifici che siano davvero efficaci per sostenere una ripresa economica di lungo periodo, all’indomani della tragedia della pandemia. Riuscire a spendere bene questi soldi sarà dunque un’occasione irripetibile per cambiare la narrazione distorta nei confronti dell’UE, troppo spesso additata come una “matrigna”, così come i burocrati di Bruxelles sono assimilati ad una banda di aguzzini che si diverte a infliggere sofferenze e sacrifici ai cittadini italiani. Se il Governo (qualunque esso sia) si dimostrerà in grado di usare questi fondi, allora forse le spinte anti-europeiste potrebbero essere disinnescate, e un nuovo approccio di Roma verso Bruxelles sarà possibile.
Come trasformare una crisi in opportunità: l’accordo di lunedì potrebbe essere l’esempio più concreto di come mettere questa teoria in pratica. A patto, però, che ognuno faccia la sua parte continuando a credere nel progetto europeo. Che l’UE stia finalmente entrando nella sua età “adulta”?
Di Davide Tentori, Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
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Davide Tentori
Nato a Varese nel 1984, Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano. Lavora presso l’Ambasciata Britannica come Esperto di Politiche Commerciali. Prima, ha lavorato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e ancora Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Responsabile Europa de Il Caffè Geopolitico
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