«Un atto di avventurismo militare. Gli Usa aggravano le tensioni favorendo le turbolenze nel Golfo». Così il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha criticato la decisione degli Stati Uniti di uccidere il generale iraniano Qassem Soleimani. Condannando apertamente l’operazione americana che ha eliminato a inizio anno il capo delle Forze Quds delle Guardie della Rivoluzione, la Cina ha fatto capire chiaramente da che parte sta nello scontro tra Washington e Teheran. La dichiarazione del ministro degli Esteri dimostra anche quanto iniziano a costare a Pechino le politiche nel Golfo, emanazione degli interessi cinesi nella regione. Il caso dell’Iran prova che per la Cina, dipendente dal petrolio del Golfo e interessata ad attuare i progetti delle Nuove Vie della Seta, niente può essere realizzato senza lasciare da parte la tradizionale politica del non intervento negli Stati in cui punta ad investite.
Una relazione speciale lega la Cina e l’Iran. Almeno fino a luglio 2019 la Cina ha importato ancora un grande quantitativo di petrolio dall’Iran. Nel 2016 i due Paesi hanno deciso di aumentare il volume degli scambi fino a raggiungere la somma di 600 miliardi di dollari entro i dieci anni successivi. Già da tempo Pechino ha rimpiazzato Mosca come maggiore partner commerciale degli Stati dell’area. Ma i rapporti tra Pechino e Teheran oltrepassano l’aspetto economico e commerciale. L’Iran è tra i maggiori beneficiari della Belt and Road, o Nuove Vie della Seta. La posizione geografica dell’Iran rende il Paese un collegamento terrestre tra la Cina e gli Stati dell’Asia centrale, che per gli investitori cinesi rappresentano un appetibile mercato da quasi 65 milioni di persone, e la regione del Caucaso. Pechino vede l’Asia centrale come una sorta di nervo scoperto che necessita di essere stabilizzato attraverso l’integrazione economica. La Cina, inoltre, investirà altri 120 miliardi di dollari a favore dei trasporti e delle infrastrutture iraniane. Il patto militare tra Cina e la Repubblica Islamica risale invece all’inizio degli anni Ottanta ed è stato ulteriormente rafforzato dopo la firma dell’accordo sul nucleare del 2015. Nel novembre del 2016 i due Paesi hanno sottoscritto un accordo per combattere il terrorismo e nel giugno del 2017 le acque comprese tra il Golfo dell’Oman e lo Stretto di Hormuz hanno ospitato l’esercitazione militare più importante tra l’Iran e una grande potenza.
Ma Teheran non può non riconoscere che l’amicizia con Pechino è ben lontana da costituire un’alleanza per le guerre che il regime combatte in Medio Oriente. I legami militari sono per i cinesi l’unico modo per salvaguardare gli ingenti interessi economici e commerciali. Pechino negli ultimi mesi ha ridotto il volume del petrolio importato dall’Iran compensandolo con quello dell’Arabia Saudita, nemico di Teheran, a causa delle tensioni internazionali. Un approccio all’apparenza ondivago funzionale tuttavia ai calcoli cinesi.
Mentre gli Usa nel maggio del 2018 sono usciti dall’accordo sul nucleare siglato nel 2015 con l’Iran, la Cina ha assunto, insieme alla Russia, una posizione molto più conservativa, mostrandosi impegnata nella stabilità della regione. Pechino si era già posta come uno dei maggiori artefici dell’uscita dall’isolamento internazionale dell’Iran. La provocazione Usa, spinta da Mike Pompeo, di uccidere Soleimani non ha fatto che rafforzare l’immagine della Cina quale stabilizzatore nell’area. Un effetto paradossale se si considera l’espansione militare di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Eppure, con l’amminstrazione Trump accade anche questo. La morte di Soleimani ha inoltre annullato ogni speranza di tenere in vita l’accordo sul nucleare, nonostante i tentativi della Cina e le iniziative fallite degli europei. Dopo l’attentato a Soleimani, l’Iran ha compiuto il quinto e ultimo passo nella ripresa del proprio programma atomico. Di conseguenza, Francia, Germania e Regno Unito hanno denunciato l’Iran per il mancato rispetto dei termini sul programma nucleare del 2015, determinando con ogni probabilità la fine dell’accordo firmato da Obama con Teheran.
Foto: il ministro degli Esteri cinese Wang Yi Mohammad con il suo omologo iraniano Javad Zarif in Beijing. AFP
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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