A sette mesi dalla vittoria elettorale che lo scorso 19 maggio gli ha consegnato un secondo mandato alla guida dell’Iran, il presidente Hassan Rouhani deve fare i conti non solo con le instabilità del Medio Oriente e le pressioni sempre più forti esercitate dall’Arabia Saudita, ma anche con serie criticità interne come dimostrano le violente proteste scoppiate negli ultimi giorni in tutto il Paese che hanno provocato finora oltre 20 morti e più di 450 manifestanti antigovernativi arresti.
Per anni con la sua retorica moderata e liberale, molto apprezzata da parte dell’Occidente, Rouhani ha fatto ombra alla crescente insoddisfazione che da tempo si va diffondendo negli ambienti riformisti del Paese. La base elettorale che ha permesso al presidente di vincere le elezioni per una seconda volta, vede infatti tradite molte delle promesse che erano state fatte dall’entourage presidenziale. Tra tutte c’è la mancata liberazione dei leader della Rivoluzione verde, che furono a capo dei movimenti popolari di contestazione contro la rielezione dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad nel 2009 e che oggi continuano a rimanere dietro le sbarre.
A creare dissapori sono state anche le ultime nomine ministeriali. Per l’ennesima volta sono state lasciate fuori le donne e sono state invece affidate poltrone importanti a personaggi oscuri come Mohammad-Javad Azari Jahromi. Ex funzionario dei servizi di intelligence, Jahromi partecipò attivamente alle repressioni durante le manifestazioni del 2009. Nella formazione del nuovo esecutivo, Rouhani gli ha assegnato la guida del ministero dell’Informazione e delle Comunicazioni Tecnologiche. La sua nomina ha fatto inevitabilmente discutere, perché è difficile credere che con lui al comando di questo ministero il libero accesso a internet, del quale più volte Rouhani si è vantato all’estero, sarà effettivamente concesso al popolo iraniano, costretto ad accontentarsi di una rete nazionale iper-controllata e isolata rispetto all’esterno.
I contrasti con il potere giudiziario e religioso
Sempre internamente, rischi concreti per la tenuta della presidenza di Rouhani possono arrivare dallo scontro con i poteri forti del Paese, a cominciare da quello giudiziario che fa riferimento all’ayatollah Sadegh Larijani. Negli ultimi mesi il presidente ha espresso forti critiche per degli arresti decisi dai giudici a suo dire in modo arbitrario. Rouhani ha inoltre puntato il dito contro la polizia morale – che fa capo al ministero della Cultura e della Guida Islamica – accusandola di eccessiva intolleranza nei confronti delle donne che non si adeguando al codice di abbigliamento femminile.
Frizioni tradottesi finora in un chiaro tentativo di indebolire politicamente Rouhani, anche attraverso censure, intimidazioni e arresti di diversi giornalisti, attivisti e simpatizzanti del suo governo che si erano esposti a suo favore nella campagna per le ultime elezioni presidenziali. L’arresto più rilevante, che appare come un vero e proprio avvertimento poiché si tratta di una figura molto vicina a Rouhani, è stato quello di suo fratello Hossein Fereidoun, finito in manette nel luglio scorso per l’accusa di aver commesso illeciti finanziari.
Lo scontro con i Guardiani della rivoluzione islamica
Ulteriori frizioni si sono manifestate anche con il Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica. L’istituzione, storicamente tra le più influenti in Iran, attraverso una ramificata rete di società operanti in settori strategici del Paese come l’energia e le costruzioni, attua da sempre una forte ingerenza nel tessuto economico nazionale. E ora non sta esitando a ostacolare il piano di apertura verso l’esterno voluto fortemente da Rouhani, frenando l’arrivo di investimenti da parte di compagnie estere, arrestando imprenditori vicini al presidente e trasferendo le loro proprietà allo Stato.
Le conseguenze in cui rischia di incorrere Rouhani proseguendo su questo cammino riformista sono rinvenibili nella storia recente del Paese in un periodo successivo alla Rivoluzione del 1979. A suggerire un collegamento con il passato è stata la stessa Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. In occasione di un incontro ufficiale tenutosi la scorsa estate tra i massimi vertici istituzionali, Khamenei non ha mancato di redarguire pubblicamente Rouhani. Riferendosi al presidente, la Guida Suprema ha parlato di un comportamento «rischioso» e «controproducente» per una sana e necessaria coesione sociale, associando il clima di divisione venutosi a creare oggi a un particolare momento storico post-rivoluzionario, tra il 1980 e il 1981, quando in nome della forte identità islamica della nuova Repubblica vennero allontanate ideologie che erano pur state co-protagoniste della rivoluzione. Il messaggio di Khamenei è stato chiaro. Per Rouhani la strada appare obbligata: dovrà moderare la sua dialettica e dimostrarsi sensibile alle richieste dei conservatori. Altrimenti i poteri forti iraniani non gli permetteranno di continuare a governare.
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