Il presidente iraniano Hassan Rouhani ha annunciato domenica 10 novembre la scoperta di un nuovo grande giacimento petrolifero, ferisce l’agenzia AP. Secondo Rouhani, il giacimento varrebbe più 50 miliardi di barili di petrolio e aumenterebbe di quasi un terzo le riserve petrolifere del Paese. Sarebbe il secondo per dimensioni scoperto fino ad oggi in Iran e si troverebbe nella provincia di Khuzestan, nel Sud del Paese, un’area ricca di risorse. Il giacimento diventerebbe quindi il secondo più importante dell’Iran, subito dopo quello di Ahvaz, che contiene 65 miliardi di barili. La Repubblica islamica ad oggi è al quarto posto al mondo per le riserve di greggio e al secondo per quelle di gas naturale.
Rouhani ha diffuso la notizia della grande scoperta durante un discorso tenuto nella città di Yazd. L’annuncio arriva in un periodo molto complicato nelle relazioni tra Teheran e Washington. Ci sono stati il drone Usa abbattuto a giugno e gli attacchi ai giacimenti dell’Arabia Saudita a settembre, per i quali gli Usa hanno accusato Teheran. La scoperta potrebbe favorire l’economia iraniana, messa in ginocchio dalle sanzioni statunitensi. «Sto dicendo alla Casa Bianca che proprio nei giorni in cui avete sanzionato la vendita di petrolio e messo sotto pressione la nostra nazione, gli ingegneri e i lavoratori iraniani sono stati in grado di scoprire un grande giacimento da 53 miliardi di barili di petrolio», ha affermato Rouhani. Le sanzioni statunitensi imposte a Teheran ad agosto 2018, dopo il ritiro degli Usa dall’accordo sul nucleare, hanno preso di mira quasi tutti i settori dell’economia iraniana danneggiando l’export di petrolio, provocando una situazione di stallo nella fragile economia del Paese e favorendo l’aumento dell’inflazione e della disoccupazione.
Un report del Fondo Monetario Internazionale diffuso ad ottobre 2019 ha evidenziato un aumento dell’inflazione del 35,7%. Secondo la World Bank, riferisce Deutsche Welle, questo aumento ha interessato in partcolare la popolazione rurale che trova difficoltà a comprare alcuni beni diventati molto costosi. In base ai dati di Statistical Center for Iran (SCI), l’inflazione sarebbe salita addirittura al 63,5% per il cibo e il carburante. Come sottolinea l’analista Nicola Pedde ascoltato da RSI, la produzione di petrolio dell’Iran è scesa al di sotto dei 200mila barili al giorno, una quantità ben inferiore alla soglia di sopravvivenza della Repubblica islamica, vale a dire 1. 200.000 barili al giorno. Ancora secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia iraniana dovrebbe ridursi del 9,5% quest’anno, proprio come effetto delle sanzioni statunitensi. Human Rights Watch (HRW) in un report di fine ottobre ha scritto che le sanzioni Usa pongono una seria minaccia all’accesso alle medicine e al diritto alla salute dei cittadini iraniani, dai pazienti affetti da epilessia ai malati di cancro.
Sin dal maggio 2018, quando gli Stati Uniti hanno abbandonato formalmente il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) firmato nel 2015, il presidente moderato Rouhani e gli altri Paesi che fanno parte del patto – Germania Francia, Regno Unito, Russia e Cina – hanno cercato di tenere in vita l’accordo. Pochi giorni fa Teheran ha annunciato un aumento della produzione di uranio arricchito fino a cinque chilogrammi al giorno, andando oltre la soglia dei di 450 grammi al giorno di soli due mesi fa e superando, anche se di poco, i limiti previsti dall’accordo sul nucleare stabiliti dalla comunità internazionale. Lo scopo è spingere i Paesi europei a trovare metodi validi che permettano la vendita del petrolio iraniano, ma a detta degli analisti questo pressing starebbe producendo ben pochi frutti.
Photo: EPA
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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