Oggi, sabato 12 maggio, in Iraq si tengono le elezioni parlamentari. La campagna elettorale ha preso ufficialmente il via sabato 14 aprile ed è continuata fino a ieri. Queste settimane di campagna elettorale sono state caratterizzate da numerose controversie e da un clima tutt’altro che disteso, sia tra la popolazione che in seno alla classe politica.

Innanzitutto, continuano i timori sui possibili brogli elettorali, espressi anche da vari politici locali fra cui Nuri Al Maliki e Muqtada Al Sadr, nonostante il costoso sistema elettronico di voto appositamente importato dalla Corea del Sud e dalla Spagna. A tal proposito, l’Alta Commissione Elettorale Indipendente dell’Iraq (IHEC) avrebbe assicurato che l’Onu e altre organizzazioni internazionali parteciperanno al monitoraggio elettorale.

Nella stessa notte di avvio della campagna elettorale, la sostituzione delle fotografie dei “martiri” uccisi durante la guerra contro ISIS – che campeggiano per le strade irachene come ricordo delle recenti ferite e della vittoria contro il Califfato – con i manifesti dei candidati alle elezioni ha sollevato grande sdegno popolare, espresso in gran parte sui social media. I candidati sono stati tacciati di essere «ladri», con riferimento alla corruzione largamente diffusa nella classe politica irachena, che appare oggi come la più trasversale causa di malcontento tra la popolazione, nonostante la campagna anti-corruzione annunciata dal primo ministro Haider Al Abadi a fine 2017.

Ha generato inoltre molto scalpore, anche a livello internazionale, il fatto che alcune tra le donne in corsa per le elezioni siano state vittime di diffamazione a sfondo sessista via internet e social media: il culmine è stato raggiunto con la diffusione di video pornografici che, secondo i detrattori, porterebbero alla luce la vita sessuale “promiscua” delle rappresentanti politiche. Tale ondata di odio contro le candidate irachene, tanto ampia da sembrare quasi organizzata, è stata condannata dall’Onu come «fonte di angoscia» per le vittime e «minaccia all’integrità del processo elettorale».

Non sono finora mancati neanche gli episodi di violenza: si sono infatti verificati omicidi, morti in circostanze misteriose e agguati a danno di alcuni candidati. Si stanno presentando inoltre grandi preoccupazioni legate a possibili attentati a opera di militanti di Daesh: il portavoce di ISIS, Abu al-Hassan al-Mujahir, ha dichiarato che i seggi elettorali saranno bersaglio di attacchi da parte dei propri uomini, invitando quindi gli iracheni a non esporsi a tale pericolo astenendosi dal voto.

 

Voci dagli ambienti religiosi

In un Paese in cui il settarismo è stato istituzionalizzato e dove in passato il voto ha più di una volta riflesso l’appartenenza religiosa (oltre che etnica) dell’elettorato, è bene domandarsi quale sia l’atteggiamento delle varie personalità religiose irachene di fronte a queste consultazioni. Il bilancio appare positivo: sembra che l’accento sia stato posto sulla tematica della corruzione, che come abbiamo visto è particolarmente sentita in Iraq, oltre che sull’importanza delle elezioni per il bene del futuro del Paese, apparentemente concepito come un unicum.

Da Najaf, il Gran Ayatollah Ali Al Sistani – lo stesso che nel 2014, con un’ormai celebre fatwa, invitò gli iracheni a prendere le armi contro ISIS, fornendo inconsapevolmente la cornice dottrinale per la creazione delle PMU – ha emesso una fatwa invitando a non dare nuovamente fiducia a quei politici che in passato hanno già deluso le aspettative dell’elettorato. Si rivela dunque importante, prima di scegliere un candidato, ben investigare sul suo passato per assicurarsi della sua integrità. A questo proposito, anche Rashid Al Hussein, un altro religioso nell’entourage di Al Sistani, ha dichiarato come il voto non debba essere espresso su base confessionale, bensì valutando l’onestà dei candidati. Meglio, quindi, un cristiano degno di fiducia che uno sciita corrotto. Pronunciamenti di questo tenore hanno sollevato dibattiti all’interno della classe politica irachena: è risaputo che le parole di Al Sistani abbiano grande peso sulla maggioranza sciita, e appare dunque importante per le diverse coalizioni dimostrare che tali accuse non siano rivolte ai propri membri. Al Sistani ha anche invitato alla cautela riguardo alle ingerenze straniere nel processo elettorale, passibili di guastare il carattere libero ed equo di questa consultazione.

Più fuori dal coro, ma significativa quale rappresentazione della diversità di opinioni nella galassia religiosa sciita, è la dichiarazione del religioso Jawad Al Khalisi, secondo cui la corruzione politica e amministrativa del processo elettorale figura tra i motivi che dovrebbero necessariamente portare gli iracheni a boicottare l’ingannevole istituzione elettorale, la cui stessa esistenza altro non è che il frutto dell’occupazione del suolo iracheno. In questo quadro, sia il voto, sia la candidatura alle elezioni costituiscono un peccato.

L’establishment religioso sunnita non sembra invece aver fatto recenti appelli al boicottaggio delle elezioni, come al contrario accadde in passato. Al Monitor riporta che il Fiqh Council of Iraq, alta autorità sunnita irachena, abbia raccomandato agli iracheni di partecipare alle elezioni e di evitare di protestare contro la corruzione del sistema attraverso l’astensione. È bene infatti che la minoranza sunnita faccia sentire la propria voce: essa non sarebbe assolutamente favorita da una scarsa rappresentanza delle proprie prerogative – siano esse sostenute da candidati sunniti o meno – nel nuovo governo.

Definendo il voto quale dovere «nazionale e morale», anche il Patriarcato caldeo ha invitato gli iracheni a recarsi alle urne per il bene del Paese, condannando oltretutto l’utilizzo di simboli religiosi quali mezzi di campagna elettorale. I candidati cristiani, ha dichiarato il Patriarcato, non devono menzionare sponsorizzazioni e sostegno da parte ecclesiastica per accattivarsi i voti. Sulla stessa linea si è pronunciato anche Al Sistani, sostenendo che l’establishment sciita non parteggi per nessuna coalizione.

 

Gli attori esterni: quali priorità sullo scenario iracheno?

La più recente storia irachena ci insegna come influenze e ingerenze esterne entrino nelle dinamiche irachene a 360 gradi. Le circostanze che hanno determinato e seguito la caduta di Saddam Hussein, la formazione di governi marcatamente filo-sciiti, la lotta contro lo Stato Islamico, la posizione centrale nel cuore di una regione attraversata da forti mutamenti geopolitici e geostrategici e altri fattori non hanno fatto che acuire progressivamente il livello di coinvolgimento degli attori esterni negli affari iracheni.

In questo quadro, le elezioni non possono che essere un’occasione per i players regionali e internazionali di schierarsi ulteriormente sullo scenario politico iracheno, nella speranza che il candidato che sponsorizzano o semplicemente favoriscono possa avere una voce nel nuovo esecutivo, e che i loro interessi a livello strategico ed economico siano tutelati.

Per affrontare questa tematica è necessario inquadrare l’Iraq nel contesto della rivalità regionale tra Iran e Arabia Saudita. Se è indubbio che l’Iraq rientri nella sfera di influenza di Teheran, sappiamo anche che Riyadh si sta progressivamente riavvicinando a Baghdad, cercando – con successo fino ad ora – di ritagliarsi un ruolo nella ricostruzione del Paese. Seppur sia alquanto improbabile che l’influenza saudita possa “sostituire” quella iraniana in Iraq, i tentativi del Regno di contrastare e dunque ridimensionare la sfera iraniana sembrano andare a buon fine. In quest’ottica, per consolidare i rapporti intessuti con Baghdad, Riyadh dovrebbe sperare in una rielezione dell’attuale primo ministro Haider Al Abadi. Considerando l’equidistanza che Al Abadi è riuscito a mantenere tra i due rivali regionali, un suo secondo mandato non sarebbe certo un riscontro negativo neanche per Teheran. Tuttavia, una massiccia presenza nel nuovo Parlamento degli uomini di Al Maliki e di quelli di Al Ameri, rappresentante sul fronte politico delle PMU, costituirebbe la migliore convergenza per gli interessi geopolitici iraniani.

Portata a termine la sconfitta di ISIS, gli Stati Uniti di Trump non stanno dimostrando grande interesse per la questione irachena, come emerge dal ruolo marginale – se si considera la statura statunitense e la passata ingerenza in Iraq – in seno alla Conferenza per la ricostruzione del Paese, tenutasi in Kuwait lo scorso febbraio. Ad oggi la priorità americana in Iraq è semplicemente contrastare un’eccessiva influenza iraniana sul e nel Paese: a dimostrazione di ciò, a marzo, il segretario alla Difesa americano Jim Mattis ha accusato l’Iran di finanziare alcune fazioni politiche irachene. Con Riyadh al vertice – dati gli interessi ben più pregnanti che la legano a Baghdad – il triangolo Arabia Saudita-Israele-USA sembra dunque propendere per una rielezione di Al Abadi, che favorirebbe peraltro una continuità nel già avviato processo di ricostruzione. Anche Kuwait ed Emirati Arabi Uniti si allineano su queste posizioni.

Per la Turchia, questione calda sul fronte iracheno è innanzitutto l’indipendenza del Kurdistan Regional Governement (KRG): i rapporti tra Erdogan e Al Abadi, dapprima particolarmente tesi, si sono rilassati in seguito al referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno voluto da Barzani lo scorso settembre. Ankara e Baghdad si sono trovate in quest’occasione a desiderare la stessa cosa: arginare l’indipendentismo curdo nel Nord dell’Iraq, visto da entrambi come una minaccia alla propria sovranità in qualità di governo centrale. L’auspicio di Ankara per lo scenario post-elezioni è dunque quello di vedere ricuciti i rapporti tra Erbil e Baghdad, e possibilmente anche recuperare i rapporti con il KRG, cui la legano interessi geo-economici. Altro argomento sensibile è la presenza di uomini del PKK nel territorio nord-iracheno: più volte Ankara ha espresso la disponibilità a organizzare un’operazione congiunta con le Forze Armate irachene per procedere alla loro eliminazione, ipoteticamente in seguito alle elezioni del 12 maggio.

 

 

Un chicco in più

Elezioni parlamentari in Iraq 2018: qualche numero

  •   23.500.000 schede elettorali;
  •    23.109.138 votanti registratisi, di cui 293.943 sfollati interni (IDPs);
  •    253.000 scrutatori elettorali per 53.000 seggi elettorali;
  •    7.187 candidati.

 

di Lorena Stella Martini – Il Caffè Geopolitico