L’economia irlandese cresce, mentre in politica si fa fronte alle possibili conseguenze della Brexit. Quali potrebbero essere le ripercussioni per l’Irlanda? Il confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda sarà rigido o si arriverà a una maggiore integrazione tra le due parti?
1. L’ECONOMIA IRLANDESE E IL RISCHIO BREXIT
Il 12 luglio scorso nelle previsioni economiche intermedie pubblicate dalla Commissione Europea l’Irlanda era il Paese che presentava la crescita economica più sostenuta (5,6% nel 2018) e il raggiungimento di una piena occupazione, tornando alle performance anteriori alla crisi finanziaria del 2008 (il tasso di disoccupazione irlandese è calato, raggiungendo il 5,3% ad ottobre 2018).
La bolla immobiliare del 2008 aveva messo in forte crisi l’economia irlandese, in cui il settore delle costruzioni rappresentava uno dei perni principali. Attualmente la crescita sostenuta dell’Irlanda deriva in larga parte dalla domanda interna e da un aumento dei salari (e dunque dei consumi).
Il principale fattore di destabilizzazione di questa ripresa economica potrebbe essere rappresentato dalla Brexit, in primo luogo perché quello del Regno Unito è uno dei principali mercati per l’export irlandese, ma soprattutto perché bisogna considerare la delicata situazione politico-economica tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda.
Difatti dal punto di vista economico il confine tra i due Paesi assume una rilevanza cruciale nel contesto della Brexit: una frontiera più “rigida” rappresenterebbe perdite economiche e di occupazione non solo per le imprese in prossimità del confine, quanto per tutti i lavoratori che si spostano quotidianamente da una parte all’altra. Un altro fattore rilevante da considerare è la possibilità che ci possano essere delle ripercussioni anche sul delicato equilibrio raggiunto con la pace di Belfast del 1998 (Accordo del Venerdì Santo), che sancì dopo circa trent’anni la fine dei disordini armati – i cosiddetti Troubles – tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Equilibrio che potrebbe essere spezzato dal ritorno di un confine rigido, riaccendendo le tensioni tra i due Paesi.
Fig. 1 – Vicino Newry, in Irlanda del Nord, un cartello indica la vecchia dogana e stazione delle accise, al confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda
2. LA QUESTIONE IRLANDESE COME NODO DELL’ACCORDO SULLA BREXIT
Il 29 marzo 2019 il Regno Unito sarà formalmente fuori dall’Unione Europea. Questa data simbolica vedrà però un periodo di transizione di circa due anni (fino a dicembre 2020) per continuare le trattative su temi non ancora risolti nei negoziati tra le due parti: durante questo periodo il Regno Unito continuerebbe a rispettare le regole dell’UE, senza però avere più diritto a intervenire per modificarle.
Dal 21 al 23 novembre scorso si è tenuto a Bruxelles il vertice sulla Brexit tra Theresa May e il presidente della Commissione Europea Juncker: uno dei principali punti dell’accordo ha riguardato la questione irlandese, in particolare il cosiddetto “backstop” (rete di sicurezza). Con questo termine ci si riferisce alle misure da adottare riguardo all’accordo doganale al confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, che è il fulcro dei negoziati degli ultimi giorni. La clausola del backstop fa assumere alle trattative una diversa sfumatura: tra Irlanda e Regno Unito rimarrebbe un’unione doganale che elimina qualsiasi forma di tariffe, dazi e controlli al confine. L’Irlanda del Nord quindi rimarrebbe di fatto legata all’UE. Questo fattore creerebbe una situazione di “privilegio” dell’Irlanda del Nord rispetto al resto del Regno Unito ed è stata pertanto fortemente osteggiata dai sostenitori della “hard Brexit” e dal DUP (Democratic Unionist Party, il partito nazionalista nord-irlandese).
Fig. 2 – Il primo ministro irlandese Leo Vardkar alla conferenza annuale di partito il 17 novembre 2018
3. I POSSIBILI SCENARI PER L’IRLANDA
Il Protocollo sull’Irlanda e Irlanda del Nord pubblicato dalla Commissione Europea il 14 novembre scorso chiarisce e sottolinea l’esigenza del backstop tra i due Paesi, impegnandosi a evitare qualsiasi forma di recessione dagli accordi di Belfast del 1998.
Theresa May ha ribadito la volontà di sostituire la clausola del backstop con un successivo accordo per eliminare qualsiasi tipo di frontiera e barriera nell’isola d’Irlanda. Dal suo canto, il Parlamento irlandese ha approvato il testo dell’accordo sulla Brexit senza molte opposizioni.
È indubbio che la situazione politica ed economica irlandese sia un caso sui generis per la necessità di mantenere integro l’equilibro tra Nord e Sud dell’isola. La decisione di salvaguardare l’area di libero scambio in questa zona geografica, pur incontrando l’opposizione dei fautori dell’hard-Brexit, è parsa alla maggioranza degli attori politici la decisione più prudente e sensata. L’ostacolo da superare è rappresentato non solo dall’approvazione della bozza d’accordo da parte dei 27 Paesi membri dell’UE, ma soprattutto dalla possibilità che il Governo britannico possa modificare l’assetto del backstop in Irlanda durante il periodo di transizione della Brexit fino al 2020. Il primo ministro della Repubblica d’Irlanda Leo Varadkar sostiene l’attuale configurazione proposta dalla May nei confronti del suo Paese, sottolineando la volontà di «conservare la condivisione dei poteri nell’Irlanda del Nord e una cooperazione nord-sud».
Tutti gli scenari restano aperti: da un lato il particolare trattamento riservato all’Irlanda del Nord potrebbe dar vita a una maggiore integrazione tra le due parti dell’isola, mantenendo stabile l’equilibrio economico e la crescita. Dall’altro potrebbero subentrare dei cambiamenti nell’assetto del backstop, soprattutto poiché l’ala più conservatrice del Parlamento britannico vede a rischio l’integrità territoriale del Regno Unito a favore di un aumento del potere dell’UE in politica interna. L’Irlanda dunque continua a destare l’attenzione e anche la preoccupazione di molti attori politici, essendo inserita in un processo, quello della Brexit, in continua evoluzione.
Rachele Renno
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