Nel giorno in cui l’Isis rivendica l’ennesimo attacco con coltello in Francia (è accaduto a Trappes, dove si registrano tre vittime compreso l’aggressore), ecco spuntare un nuovo messaggio audio del leader dello Stato Islamico, il famigerato Califfo Abu Bakr Al Baghdadi.
Giudicato autentico dagli analisti del Site Intelligence Group di Rita Katz, la registrazione diffusa dal network jihadista Al Furqan è un lungo monologo di 54 minuti in cui la primula rossa del terrorismo islamista ripropone tutta la retorica e le minacce cui ci ha abituato sin dal giugno 2014, quando si presentò al mondo per lanciare il Jihad internazionale, mostrando il suo volto dal pulpito della Moschea Al Nouri di Mosul, oggi rasa al suolo dalla furia della guerra.
A quella dichiarazione, nei tre anni successivi sono seguiti soltanto sporadici messaggi – molti peraltro affidati ai suoi fedeli o al “ministro per la propaganda” dell’Isis, Abu Mohammed Al Adnani – ma nessun altro video è stato diffuso, quasi a voler seguire la tradizione islamica secondo cui il profeta scompare gradualmente prima di ascendere al cielo e non appare più ai fedeli (Maometto stesso può essere raffigurato soltanto velato e il suo volto deve restare sempre nascosto).Quest’aura di mistero e l’imprendibilità dell’uomo – protetto da una rete di clan che, evidentemente, ancora non lo hanno abbandonato, a riprova del suo attuale peso politico – hanno dato credito e speranze a quanti, tra gli irriducibili del Califfato, hanno proseguito senza sosta la “guerra santa” tanto in Occidente quanto nel teatro di guerra siro-iracheno.
Registrato in questo mese di agosto, il monologo del Califfo fa continui riferimenti agli Stati Uniti e alla Turchia e alle loro recenti diatribe politico-diplomatiche, così come è infarcito di anatemi contro l’Occidente e inviti a colpire in Usa, Canada ed Europa.
Non mancano esortazioni per i suoi “soldati”, a cominciare dal titolo stesso dell’audio, citazione di una sura del Corano che recita “Dà la buona novella a coloro che sono pazienti”.
I nuovi ordini del Califfo
“La vittoria non è nella conquista dei territori” dice Al Baghdadi più di una volta, in riferimento alle perdite subite durante la guerra, ma invita comunque i suoi uomini a battersi in Siria e Iraq “fino all’ultima goccia di sangue”.
Il Califfo lamenta poi le divisioni interne delle milizie siriane, che hanno causato le sconfitte a Damasco (il ritiro dalla Ghouta) e la retrocessione a Idlib, ultimo fronte delle forze ribelli insieme a sporadiche presenze lungo l’Eufrate e nel deserto siro-iracheno. Territorio dove peraltro, secondo alcuni esperti americani, si nasconderebbe ancora lo stesso Califfo.
Cosa importante sono però le direttive che Al Baghdadi lancia ai suoi uomini ancora sul campo in tutto il Medio Oriente: intervenire in Giordania per rovesciare il governo, punire i curdi che hanno tradito gli arabi, sostenere i sunniti che lottano ancora in Iraq.
Su questi punti si può concentrare l’analisi degli esperti, specie dopo che un rapporto delle Nazioni Unite ha evidenziato come sul terreno di battaglia rimangano ancora circa 25 mila operativi (le cifre sono piuttosto lasche), che sarebbero pronti a tutto per il Jihad.
Affidabile o meno che sia questo dato numerico, resta il fatto che la guerra prosegue sia pur con minore intensità: attacchi sistematici alle truppe governative di stanza a Deir Ezzor, scontri e rapimenti e Idlib, manovre per riconquistare gli oleodotti come Al Omar in Siria, sono infatti all’ordine del giorno. Così come nelle province irachene di Ninive, Kirkuk e Diyala si muore ogni giorno per attacchi suicidi, scontri a fuoco e bombardamenti, mentre a Baghdad si registrano continue esplosioni e vittime di assalti improvvisi.
Uno stillicidio giornaliero che racconta di una fase, quella della guerriglia, che i militanti dello Stato Islamico non intendono abbandonare.
Prospettive del jihadismo militante
Corroborati ora da questo nuovo messaggio del loro leader, dato per morto almeno una ventina di volte e sempre ricomparso – il Pentagono ritiene ufficialmente che sia ancora vivo – i jihadisti sono dunque ancora in attività e, se anche il sipario mediatico è al momento calato su questa triste pagina di storia del Medio Oriente, tuttavia la realtà racconta di una sacca di irriducibili che intende proseguire nel progetto del Califfato e che vuole resistere a Idlib, su cui incombe l’operazione del governo di Damasco per riprendere l’ultima provincia ancora in mano ai ribelli, così come in altri teatri.
Insomma, se la parabola militare del Califfato ha conosciuto la sua fine nel 2017, la guerriglia è in una delle sue più incandescenti fasi. E l’ultimo messaggio di incitamento all’odio da parte dell’unico leader ancora riconosciuto dello Stato Islamico non è una buona notizia per quanti sperano di essersi lasciati alle spalle la minaccia jihadista.
C’è infatti ancora da pacificare la Siria e la Libia, ridefinire il potere in Iraq e Afghanistan, sopire le mire geopolitiche di Iran, Turchia e Arabia Saudita, arrestare i network di propaganda islamista in America ed Europa. E poi c’è Al Qaeda, la cui fase di sonno potrebbe presto finire.
Calma e sangue freddo, ma allerta massima.
articolo pubblicato sulla rubrica Oltrefrontiera di Panorama.it
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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