Dopo che Italia e Niger hanno firmato a Roma nel settembre di quest’anno un accordo di cooperazione nell’ambito della difesa, nel corso del 2018 il nostro paese ha previsto anche una missione militare nel cuore dell’Africa. L’annuncio è stato fatto dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni durante il vertice francese convocato dal presidente Emmanuel Macron per dare vita al G5 Sahel, una coalizione che vede impegnati Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger.
Mentre il protocollo italiano di settembre era rivolto alla formazione e all’addestramento del personale delle forze armate nigerine, il contingente che sarà schierato nel 2018 è reso disponibile grazie a un finanziamento di 50 milioni da parte dell’UE e si occuperà di «sorveglianza e controllo del territorio del Niger». L’Italia contribuirà con 470 soldati e 130 veicoli. Lo scopo è presidiare con maggiore efficacia la rotta chiave dei migranti che dal Niger raggiunge l’imbuto della Libia, dove un coacervo di criminali e islamisti gestisce il traffico di esseri umani, ma anche quello di droga e armi.
Oltre al terrorismo di Boko Haram, infatti, che colpisce non soltanto il nord della Nigeria ma si spinge fino alle regioni al confine con il lago Ciad (e dunque anche Ciad, Camerun e Niger), la regione ha dovuto fronteggiare negli ultimi decenni anche altre due piaghe: la criminalità organizzata che spinge i migranti a raggiungere le coste mediterranee grazie a una ramificazione in tutto il Sahel, e il cosiddetto “terrorismo economico”, che ha preso di mira soprattutto le società straniere operanti nel paese, accusate di sfruttare la principale risorsa nazionale senza garantire sviluppo socio-economico e migliori condizioni di vita alla popolazione. Da qui il terrorismo di matrice islamista, fomentato negli ultimi anni dal riemergere del Jihad non solo in Medio Oriente ma anche in Nigeria, Mali e appunto Libia.
L’importanza del Niger
L’importanza strategica del Niger nel porre un argine alla criminalità e al terrorismo che infestano tutto il Sahel è nota. Non a caso gli Stati Uniti hanno da poco avviato un massiccio finanziamento per costruire una base aerea per il decollo di droni ad Agadez, città centrale del Niger. I lavori, il cui costo ammonta a circa 100 milioni di dollari, sono alla fase finale.
In Niger gli USA dispongono già di una base aerea a Niamey da dove, in coabitazione con la Francia (nell’ambito della “Operazione Barkhane” che si svolge in tutto il Maghreb), fanno decollare i loro droni MQ-9 Reaper. Adesso, con la nuova base di Agadez, Washington punta a intensificare i raid con i velivoli senza pilota per colpire le numerose postazioni e roccaforti jihadiste sparse tra Libia, Mali e Nigeria.
Il Niger si colloca così come secondo hub per le operazioni militari degli USA in Africa, dietro solo al Gibuti. Secondo un rapporto diffuso nel 2015 dalla sottocommissione Affari Esteri del Senato americano che si occupa dei rapporti con l’Africa, dal 2006 il Niger ha ricevuto da Washington attraverso l’AFRICOM (il Comando delle operazioni degli Stati Uniti in Africa) circa 82 milioni di dollari in aiuti militari, mentre sono 288 i milioni versati per i Paesi dell’Africa Occidentale tra il 2009 e il 2013. Soldi che però non bastano ancora a garantire stabilità in questi Stati.
Una regione instabile
In Niger, infatti, nel 2010 i militari hanno rovesciato il presidente Mamadou Tandja prendendo il potere. Mentre in Ciad ci sono stati due colpi di stato nel 2006 e nel 2013. In Mauritania invece il governo è stato rovesciato dai militari nel 2005 e nel 2008. E in Mali nel 2012 un golpe militare ha deposto il presidente che era stato democraticamente eletto, trascinando il Paese in una nuova lunga stagione di guerra civile i cui strascichi continuano ancora oggi. A ciò si sovrappone il terrorismo transnazionale di Boko Haram, affiliato allo Stato Islamico, e quello dei gruppi legati ad Al Qaeda nel Sahel, come AQIM.
Ma è soprattutto a causa dei signori della guerra come Mokhtar Belmokthar, alla testa di un esercito di contrabbandieri che imperversano con razzie e sequestri ai confini tra Algeria, Libia e Mali, che la situazione resta fuori controllo tale per cui il traffico di esseri umani non accenna a diminuire.
L’impegno militare italiano si colloca in questo difficile contesto dove, al fianco di partner internazionali come gli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito, adesso c’è anche l’Unione Europea con il G5 del Sahel. Vedremo se questa iniziativa riuscirà nel duplice scopo di garantire sicurezza e prevalere sugli obiettivi divergenti dei singoli paesi occidentali, attenti più spesso a tutelare le proprie aree di influenza storiche che non a risolvere il problema centrale. A pagarne le spese più di tutti, come sempre, è la popolazione civile.
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