La ricostruzione delle forze armate della Germania è iniziata. Nello specifico, per quello che un tempo era il più grande esercito dell’Europa occidentale, il “mezzo governo” Merkel (la grande coalizione CDU-SPD è appena entrata in funzione) ha annunciato che entro i prossimi sette anni procederà al reclutamento di migliaia di soldati «per contrastare le minacce moderne in tutti i settori» e rinfoltire le missioni tedesche all’estero: 16 in tutto, le più importanti delle quali al momento sono attive in Siria, Iraq e Ucraina, nell’ambito NATO.
Il ministro della Difesa Ursula Von Der Leyen ha così fugato ogni dubbio sul paese occidentale che possedeva il più grande esercito occidentale e che, complice la tragica eredità della seconda guerra mondiale, era diventato forzatamente pacifista. Adesso, per la Bundeswehr è tempo di tornare a crescere. Von Der Leyen ha annunciato che entro il 2020 la spesa militare crescerà dagli attuali 35 a 40 miliardi di euro per sopperire all’obsolescenza degli armamenti, rinfoltire il personale civile.
Ma, soprattutto, per soddisfare le richieste degli Stati Uniti in seno alla NATO, che da tempo chiedono agli alleati di rispettare i parametri richiesti dall’Alleanza Atlantica, secondo cui ogni paese membro dovrebbe spendere almeno il 2% del PIL nazionale nel settore militare (oggi Berlino spende intorno all’1,2%), in ossequio all’impegno assunto da tutti i contribuenti al Summit di Praga del 2002.
L’esercito tedesco oggi
Secondo le stime più affidabili, attualmente la Bundeswehr possiede il terzo esercito più costoso d’Europa: con i suoi 177mila soldati e 87mila civili è infatti in cima alle classifiche insieme al Regno Unito, che può schierare 150mila effettivi, ma spende 68 miliardi di dollari l’anno in armamenti. La Francia dispone invece di 200mila soldati e quasi altrettanti riserviti, per i quali spende in totale 60 miliardi, mentre l’Italia è al quarto posto con i suoi 320mila effettivi e 34 miliardi di budget militare. Il divario è maggiore, se messo in relazione al numero di aerei e navi a disposizione. Qui, la Germania non brilla da tempo.
Al culmine della Guerra Fredda, il Ministero della Difesa tedesco disponeva di un numero impressionate di uomini e mezzi, e stipendiava complessivamente 670mila tra civili e militari. Cifra che è scemata progressivamente sino al minimo storico di 166mila uomini raggiunto lo scorso anno, in ossequio alla quota limite di 185mila unità, fissata dal Libro Bianco della Difesa del 2006(per capirsi, l’esercito tedesco oggi è appena il 20% di quello in forze nel 1990). In corrispondenza con la fine della leva obbligatoria del 2011, il problema delle forze armate è tornato via via al centro del dibattito politico.
La recente decisione, dunque, sconfessa le linee guida del Libro Bianco, dove si delineava un preciso orizzonte per le forze armate tedesche, raccomandando da un lato il mantenimento della leva obbligatoria e dall’altro la riduzione del personale militare. Quel testo è stato superato nello stesso 2011, quando è stato pubblicato il Defence Policy Guidelines, che impostava il nuovo quadro strategico della Bundeswehr, fornendo importanti indicazioni in merito alle rinnovate ambizioni militari tedesche. In effetti, già nel 2010, durante la crisi economica, il governo aveva deciso di ritirare il taglio da 8,3 miliardi di euro da effettuare in quattro anni che era stato prospettato dall’allora Ministro delle Finanze Schauble.
Il dibattito politico
La cosa aveva suscitato non poche polemiche, rinverdendo slogan post bellici come Nie wieder (“mai più”) e Lieber rot als tot (“meglio rosso che morto”), gridati soprattutto da pacifisti e obiettori di coscienza. Il dibattito intorno al riarmo tedesco, però, non sembra seguire più la stessa linea di allora, ed è alimentato dalla volontà dell’Amministrazione Trump di aumentare il contributo europeo nella NATO come supporto logistico per la presenza in Europa degli Stati Uniti.
Pur se i sondaggi indicano che quasi il 70% dei cittadini tedeschi è ancora contrario ad aumentare le spese militari, da qualche tempo si è fatta avanti una diversa consapevolezza che corrisponde a quanto stigmatizzato mesi fa dal National Interest: «Se mai l’Armata Rossa dovesse ripresentarsi nella pianura della Germania settentrionale, l’esercito non sarebbe probabilmente in condizione di fare molto di più che multarla per eccesso di velocità». Mentre Die Welt ancora agli inizi del 2017 scriveva che «l’esercito tedesco zoppica anche per la sua mancanza di sostegno pubblico».
A tutto questo, hanno progressivamente posto rimedio alcune minacce concrete, come quella dello Stato Islamico, che ha contribuito sensibilmente a una diversa percezione della sicurezza e ha imposto di rivedere alcuni aspetti logistici circa l’impiego di forze armate, soprattutto in ambito internazionale, forgiando una nuova consapevolezza almeno nella borghesia tedesca.
Realpolitik e baby soldati
Così, anche la frenata del ministro degli Esteri in quota SPD, Sigmar Gabriel, il quale lo scorso marzo affermava quanto fosse necessario «non ingigantire l’obiettivo del due per cento, evitare di essere consumati dalla gioia di una nuova spirale da riarmo», oggi è superata dalla necessità di tenere unito il traballante IV Governo Merkel. L’appoggio offerto dai socialisti al partito della Cancelliera – che ha puntellato un governo altrimenti impotente e scongiurato il ritorno alle urne – impone adesso l’accettazione di alcune strategie politiche altrimenti indigeribili, di cui la Difesa fa parte.
«Non so dove parcheggeremo tutte le portaerei che saremo obbligati a comprare per investire settanta miliardi di euro all’anno nella Difesa» aveva detto Gabriel nei giorni del fallimento di Angela Merkel alle urne. Salvo poi correggere il tiro una volta intravista la possibilità di restare in sella nel nuovo governo di coalizione: «L’Europa oggi viene percepita come un continente ricco ma debole […] solo se definirà il proprio ruolo e i propri interessi proiettandoli poi in azioni potrà sopravvivere» ha riferito lo scorso dicembre durante i lavori del Berlin Foreign Policy Forum, tra i più importanti appuntamenti annuali di politica internazionale.
Restano comunque in piedi le polemiche relative ai fornimenti di armi tedesche agli eserciti stranieri – tra cui i tank turchi che in questi giorni stanno facendo strage di curdi nel nord della Siria – e ai “baby soldati”, cioè quei 2.100 diciassettenni che si sono volontariamente arruolati nella Bundeswehr nel corso dell’ultimo anno, in risposta a una campagna aggressiva da parte del governo, che ha promesso loro uno stipendio sicuro (850 euro al mese) e concrete opportunità di carriera al «servizio della società e della sicurezza», operata attraverso l’invio di più di un milione di mail, lettere alle famiglie e promozioni nelle scuole e sui social media.
Pur se legale – in Francia si può arruolarsi dai 17 anni e mezzo, nel Regno Unito già a 16 – la chiamata all’arruolamento tedesco è un boom che pone però forti dubbi etici, anche in considerazione dell’apertura del ministro della Difesa all’ingresso nell’esercito di cittadini stranieri (però appartenenti all’Ue). Ma se nel 2024 Berlino vuole centrare l’obiettivo di superare le 200mila unità al servizio del paese, la strada appare segnata.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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