Dall’inizio della guerra civile in Siria la Giordania ha accolto circa 1,3 milioni di rifugiati siriani, dei quali solo il 21% si è stabilito nei campi profughi messi a disposizione dal Governo di Amman (Zaatari, Azraq e Emirati Jordanian Camp). La pressione socio-economica esercitata dall’afflusso di profughi provenienti dalla Siria, soprattutto a partire dal 2013, anno in cui quasi la metà del totale dei rifugiati ha varcato il confine siro-giordano, ha continuato a crescere e, così facendo, ha contribuito a mettere a repentaglio il precario equilibrio del Regno Hashemita. Nel corso degli anni gli oltre 10 miliardi di dollari spesi da Amman per la gestione e l’accoglienza dei profughi siriani si sono fatti sentire, e le proteste avvenute in Giordania nel mese di giugno, a seguito di una serie di misure di austerity implementate per conformarsi alle stringenti richieste del Fondo Monetario Internazionale, ne sono testimonianza. Un altro aspetto da tenere in considerazione quando si parla della precarietà del caso giordano è quello riguardante le altre due numerose comunità di rifugiati presenti nel Paese: iracheni e palestinesi. Mentre i rifugiati iracheni in Giordania sono circa 70mila, i profughi palestinesi sono oltre due milioni (su un totale di cinque milioni registrati presso l’UNRWA), e le sorti dei rifugiati siriani sono strettamente legate alla gestione dei rifugiati palestinesi. Infatti la decisone statunitense di tagliare i fondi all’UNRWA lo scorso anno avrà sicuramente un impatto estremamente negativo sulle casse giordane e, di conseguenza, sulle possibilità del regno di Abdallah II di dedicare ingenti somme all’accoglienza dei profughi siriani.
Alla luce delle difficoltà economiche in cui versa il Paese, l’obiettivo di Amman è garantire un rimpatrio sicuro e volontario ai rifugiati siriani presenti in Giordania. Inoltre in un sondaggio condotto dal NAMA Strategic Intelligence Solutions su un totale di 1.306 cittadini giordani e 600 rifugiati siriani, l’87% dei primi e il 66% dei secondi ritiene che i profughi siriani debbano fare rientro nel Paese di origine. A ogni modo il ritorno dell’ingente numero di siriani presenti su suolo giordano dipende soprattutto dalle relazioni tra Damasco e Amman, che, recentemente, sono cominciate a migliorare. Il punto più basso nei rapporti diplomatici tra Giordania e Siria si è raggiunto nel 2014, quando, a seguito della decisione del Governo giordano di dichiarare l’ambasciatore siriano ad Amman “persona non gradita”, Damasco ha vietato l’ingresso in Siria al diplomatico giordano Mohammad Amin Abu Jamoos. Quando però le sorti del regime di Assad sono cambiate, Amman ha cominciato a riallacciare i rapporti. Infatti, già nel mese di gennaio dello scorso anno, il presidente della Camera Giordana Atef al-Tarawneh ha dichiarato che le Autorità giordane si stavano coordinando con quelle siriane per mantenere la sicurezza lungo il confine e che la Giordania sosteneva la reintroduzione della Siria nel consiglio della Lega Araba. Infine la riapertura del valico Nassib tra Giordania e Siriacostituisce l’ennesima prova di quanto il Governo di Amman abbia a cuore la normalizzazione delle relazioni con Damasco, anche al fine di cominciare le operazioni di rimpatrio dei profughi.
Così come il Libano, nemmeno la Giordania è tra i Paesi firmatari della Convezione di Ginevra del 1951, relativa allo statuto dei rifugiati. A differenza di Beirut, la Giordania ha allestito dei campi ufficialmente riconosciuti dall’UNHCR, dove però le condizioni di vita sono piuttosto precarie. Forse è anche per questo motivo che la maggior parte dei rifugiati siriani presenti in Giordania vive al di fuori dei campi, nelle zone settentrionali di Mafraq, Irbid, Zarqa e nella capitale, Amman. Dopo l’acuirsi delle tensioni in Siria nel 2014 la situazione dei rifugiati è andata peggiorando. Le scuole che hanno accolto i bambini siriani in fuga dalla guerra sono ormai sature di studenti e le opportunità di lavoro per i rifugiati sono limitate al lavoro in nero, a causa dei numerosi ostacoli da superare per ottenere un permesso di lavoro valido. Nonostante la situazione sopra descritta, vale la pena ricordare un esempio di integrazione degno di nota avvenuto nella piccola cittadina di Qweirah, nel governatorato di Ma’an. Tramite l’azione congiunta del Ministero dell’Ambiente e alcune associazioni no-profit, dei piccoli grandi passi sono stati mossi verso l’inclusione dei rifugiati siriani residenti a Qweirah, attraverso la riabilitazione di un parco comunale e progetti finalizzati a promuovere la collaborazione tra rifugiati siriani e la comunità giordana ospitante. È innegabile che le condizioni di vita della maggior parte dei siriani in Giordania siano lontane anni luce da quelli residenti a Qweirah, tuttavia l’esempio dovrebbe indicare la via da seguire nel Regno Hashemita.
di Emanuele Mainetti
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