Conosciamo bene Mohammad Bin Salman. Negli ultimi due anni abbiamo imparato a comprendere quale posto vede nel mondo per il Regno Saudita. Un Paese nuovo, proiettato nel futuro. Una nuova economia, più libera dal giogo del mercato degli idrocarburi. Una Paese culturalmente più aperto, svincolato dalla visione radicale wahhabita dell’Islam. Perché MBS sa perfettamente che economia e religione, il profano e il sacro, nel suo Regno, si toccano e si influenzano a vicenda. Cambiare l’economia senza modi care i rapporti sociali e i pilastri culturali del Paese è impossibile. Vision 2030, il piano economico e culturale ideato dal Principe, giocoforza, passerà dalla riscrittura del patto sociale che ha dato vita alla nazione e l’ha tenuta in piedi. Di cile prevedere la riuscita o meno di un piano così visionario. Il Principe agisce, imponendo i ritmi della sua visione. C’è chi lo segue, convinto della bontà del suo piano, o perché capisce che al momento accodarsi a MBS è l’unico modo di accedere a un po’ di potere. C’è chi l’osteggia, magari perché critico verso una manovra che può far de agrare la nazione, o perché non accetta l’accentramento del potere nelle mani del principe. Infine c’è chi attende. Lontano da Riyad e dalla corte reale saudita, il palazzo al Yamama. Lontano dai circoli silenziosi dell’opposizione interna.
Hamza bin Laden attende. Saudita, millennial, ambizioso. Un cognome pesante da portare ed erede al trono anche lui. Hamza attende, probabilmente al con ne tra il Pakistan e l’Afghanistan. Gli ultimi due Paesi che ospitarono suo padre, il principe del terrore, Osama bin Laden. La sua attesa però non è passiva. Hamza studia, apprende dal suo maestro. Ayman al Zawahiri, il dottore egiziano attuale leader di Al Qaeda. Mentre continua il suo processo di formazione, iniziato da giovane tra le case-prigione iraniane e i rifugi in Pakistan, comincia a farsi conoscere a colpi di articoli, comunicati e audio messaggi. Il suo impeto giovanile, che spesso sfocia nella ferocia tradita da un timbro di voce che tende ad alzarsi al culmine delle sue invettive, si sposa alla perfezione con il tono più remissivo e pacato di al Zawahiri. Le sue invettive spaziano e colpiscono ovunque si trovino i nemici del jihad e del- la sua Umma. Invoca all’azione, a colpire i crociati in qualsiasi modo e in qualsiasi luogo. Grida ven- detta per la Palestina, attacca l’Iran. E insieme all’Iran accusa l’Arabia Saudita, rea, tra le varie colpe che ha, di non riuscire a contenere l’espansione della mezzaluna sciita. Il Regno Saudita, però, non ricopre un ruolo marginale nella produzione mediatica di Hamza bin Laden. Tutt’altro. Hamza trova sempre un modo o un pretesto per attaccare il Paese guidato da Mohammad bin Salman. Ma non invo- ca o spera di provocare un regime change nel Regno Saudita. Semplicemente, prepara la strada se un do- mani la visione reale dovesse naufragare. L’organizzazione al momento non gode di abbastanza potere nel Regno Saudita. Non ci sono opposizioni estremiste di stampo religioso sunnita da in ltrare.
Gli operativi sul campo sono pochi, perché molti hanno compiuto l’hijrah verso lo Yemen. Soprattutto, il tessuto sociale del Paese presenta delle crepe non ancora abbastanza profonde da permettere all’ideologia qaedista di attecchire come vorrebbe. Senza operativi e senza sostegno della popolazione è inutile qualsiasi azzardo e questo la leadership centrale del gruppo
lo comprende perfettamente. Memore della cocente disfatta patita dall’organizzazione quando nel 2003 diede il via alla stagione di attentati nel Paese. Scon tta per giunta infertagli, ironia della sorte, dall’ex designato erede al trono saudita, il principe Mohammad bin Nayef. Nel mentre Al Qaeda prepara il terreno, conscia del fatto che l’occasione, se mai dovesse presentarsi, potrebbe rappresentare un momento spartiacque nella storia dell’organizzazione.
Programmazione, pazienza, sguardo rivolto al futuro. Hamza però, proprio come la sua nemesi Mohammad bin Salman, ha anche una visione. Un disegno ispirato e condiviso dal leader in carica al Zawahiri e da buona parte del suo gruppo. Hamza è il “Leone del Din” su cui Al Qaeda punta per ten- tare di portare a termine la guerra civile che affligge il panorama jihadista. Lignaggio e sangue non si imparano e non si acquisiscono. Hamza bin Laden, nonostante sia al vertice dell’organizzazione acerrima rivale dello Stato Islamico, è il glio della leggenda del jihad. È l’erede di Osama bin Laden, il figlio che nella volontà del padre non avrebbe dovuto seguire le orme paterne. La storia però è andata diversamente. Hamza vuole riuscire dove il padre ha fallito.
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