Mentre Pechino espande le proprie attività militari nel Mar Cinese Meridionale, le sue aziende proseguono con il potenziamento della Maritime Silk Road. I Paesi del Sud-est asiatico rispondono con incertezza a questa iniziativa, mantenendo i rapporti commerciali, ma giudicando con più attenzione le conseguenze per le proprie economie. Nel frattempo ci si aspetta una presa di posizione chiara anche da parte di altre grandi potenze per bilanciare l’influenza cinese nella regione.
UN PROGETTO CONTROVERSO
I progressi dell’iniziativa cinese Maritime Silk Road (MSR) nella regione del Sud-est asiatico hanno provocato sentimenti contrastanti tra le élite politiche locali e gli analisti internazionali. L’avanzamento e le continue modifiche di questa catena di progetti marittimi offrono anche un altro spunto di riflessione molto interessante, quello in relazione alla crisi del Mar Cinese Meridionale (MCM). Questa disputa inizia nel secondo dopoguerra, e riguarda principalmente il controllo delle isole Paracel e Spratly, reclamato da Cina, Vietnam, Malesia, Filippine e Taiwan. La questione della sovranità in una zona così importante per risorse naturali e traffici marittimi non prevede una facile risoluzione legale. Negli ultimi anni il MCM ha assistito a una vera e propria escalation di rivendicazioni territoriali, in particolare da parte della superpotenza cinese, che non ha esitato ad avanzare militarmente nel territorio conteso e a provocare forti tensioni nella regione. Questo atteggiamento influenza l’andamento della MSR, il cui successo si basa sulla collaborazione economica e sulla “fiducia” reciproca tra gli Stati aderenti e la Cina. Gli imperativi di sviluppo infrastrutturale della regione sembrano non permettere prese di posizione rigide, mentre preoccupazioni di tipo militare, economico e strategico si intrecciano, creando risposte estremamente variabili.
Fig. 1 – Manifestazione ad Hanoi contro le pretese cinesi sulle isole Paracel e Spratly (2011)
L’ESCALATION DEL CONFLITTO DEL MAR CINESE MERIDIONALE
La disputa del MCM si può dividere in tre momenti. Un primo momento di assertività militare risale circa agli anni Settanta, durante i quali la scoperta di riserve di petrolio sul suo fondale è stata causa scatenante di scontri tra Cina e Vietnam nelle Isole Paracel e Spratly (con la morte di dozzine di pescatori vietnamiti) e tra Cina e Filippine sulla Mischief Reef. Nella seconda fase, la disputa assume toni più diplomatici: ASEAN e Pechino firmano la Dichiarazione della Condotta delle Parti (2002), nella quale ogni attore si impegna a non occupare le isole contese. Tuttavia nel 2009 il Governo cinese pubblica un documento conosciuto come The Nine-Dash Line, in cui rivendica la sovranità di oltre l’80% del suolo e delle risorse del MCM, con annessa una mappa dimostrativa. La terza fase, la più recente, vede l’entrata in gioco di enti sopranazionali (U.N. Convention on the Law of the Sea in difesa delle Filippine), continui “incidenti” da parte del gigante cinese (come l’espansione artificiale su alcune isole), ma anche la collaborazione dello stesso per la sicurezza marittima locale. A tal proposito nel 2017 Cina e ASEAN adoperano ufficialmente il Codice di Condotta (COC) per gli incontri marittimi non pianificati, seguito dalla prima grande esercitazione militare congiunta nell’agosto 2018. Nonostante la propensione a lavorare insieme, la Cina continua ad armare le postazioni strategiche occupate nelle isole contese, andando contro alla dichiarazione del presidente Xi (2015) di non militarizzare le stesse, rilasciata durante una visita al presidente statunitense Obama. Queste azioni controverse sono state spiegate come parti di un piano coercitivo nei confronti dei partner ASEAN. Secondo alcuni analisti (Huong Le Thu, Xue Gong) gli strumenti principali di questa strategia sono: la predilezione al dialogo bilaterale (vis-à-vis), una dipendenza commerciale e l’abbondante offerta di finanziamenti per infrastrutturali chiave. La MSR si collocherebbe come mezzo per ampliare la propria presenza nella regione, come arma per impossessarsi di asset strategici del territorio e come esca per ricattare gli Stati che hanno finanziamenti attivi con le Istituzioni cinesi.
Fig. 2 – Mappa della famosa “Nine-Dash Line”, che indica i territori rivendicati dal Governo cinese nel Mar Cinese Meridionale
LA RISPOSTA DELL’ASEAN
Se il Governo di Pechino sembra procedere con una strategia controversa, ma con caratteristiche ben definite, la risposta ASEAN invece sembra mancare di identità comune. Dal punto di vista politico la Cina ha mostrato una propensione alla risoluzione dei conflitti vis-à-vis con il singolo Stato, e non in sede di incontri internazionali. La tecnica “dividere per conquistare” è stata usata più volte per riferirsi alla diplomazia cinese, con il risultato di rallentare una decisione unica da parte dei membri ASEAN. Un esempio è la causa legale delle Filippine nei confronti della Cina in seguito all’occupazione della Mischief Reef (2012): nonostante la chiara violazione della legge internazionale marittima, Pechino ha risposto con minacce dirette all’accusatore, rifiutando il dialogo durante gli incontri multilaterali. Sebbene tutti gli Stati membri dimostrino preoccupazione per la sicurezza marittima regionale, questa tecnica sembra indebolire una risposta comune, minando anche l’autorità politica e la centralità dell’Associazione. L’ambiguità così creata favorisce Pechino, le cui effrazioni incontrano una resistenza incerta. Poi, c’è una visione comune secondo la quale il crescente squilibrio commerciale in favore della Cina porterà a una maggior dipendenza economica degli Stati ASEAN, favorendo così le pressioni politiche di Pechino. La potenza cinese rimane il più grande partner commerciale di 5 dei 10 membri dell’Associazione ed è compresa in tutti i principali accordi commerciali multilaterali. Inoltre lo spazio di manovra economica cresce ulteriormente con l’accettazione del piano per la Maritime Silk Road. Con una cornice finanziaria notevole incentrata su Pechino (AIIB, Silk Road Fund), le nazioni ASEAN si sono ritrovare a “concorrere” per rientrare negli schemi infrastrutturali cinesi, con la paura di essere lasciati indietro in quella che viene definita come «la più grande iniziativa per 21° secolo». Dopo un iniziale periodo di ottimismo, gli analisti di vari Paesi hanno segnalato come gli investimenti in infrastrutture di larga scala possono portare gli Stati più deboli alla debt-trap, la trappola del debito. Secondo tale discussa teoria, i ritorni economici per questi grandi progetti sono lenti e rischiosi, mentre gli interessi del prestito sono tutt’altro che convenienti. Debiti significativi possono portare quindi a un’ulteriore dipendenza dalla Cina e alla cessione di postazioni chiave nel Sud-est asiatico. Un esempio lampante è la vicenda del porto di Hambantota nello Sri Lanka, il cui controllo è stato ceduto per 99 anni all’azienda cinese responsabile del progetto in seguito al forte indebitamento di circa 8 miliardi di dollari. Per queste ragioni alcuni Governi ASEAN hanno deciso di sospendere, ritardare o cancellare alcuni progetti, come la East Coast Railway Link in Malesia, un investimento di circa 13 miliardi di dollari.
Fig. 3 – La prima esercitazione congiunta Cina-ASEAN per la cooperazione marittima, tenutasi lo scorso ottobre nella provincia del Guangdong
UN FUTURO INCERTO
L’assertività territoriale cinese e l’avanzamento della MSR hanno suscitato tensioni a livello internazionale. L’atteggiamento controverso del Governo di Pechino, accomodante nella collaborazione marittima e allo stesso tempo fermo nelle proprie pretese territoriali, per il momento sembra aver paralizzato le reazioni degli Stati ASEAN. L’Associazione sembra anche aver perso la propria centralità regionale e la capacità di controbattere alle condizioni economiche proposte per aderire al progetto MSR. Il futuro del Sud-est asiatico ruota dunque intorno all’evolversi dell’influenza cinese nella regione e alle iniziative che le altre grandi potenze dell’area (USA, Giappone, India) prenderanno per contenerla.
Benedetta Mantoan
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