È la più grande nave da guerra dell’Iran di nuova generazione. Pesa 4 mila tonnellate, è lunga 150 metri e larga 22. Monta lanciamissili terra-terra e terra-aria, dispone di un cannone antinave e può ospitare contemporaneamente sei droni da attacco e un elicottero. Ha una tecnologia per la guerra elettronica, un sistema di difesa aerea Khordad 3, ed è pensata per le navigazioni oceaniche. Insomma, un’arma letale.
Che c’è di strano in tutto ciò? Che quella nave è italiana, venduta al regime degli Ayatollah in apparente violazione dell’embargo Onu sull’Iran, nonché dei divieti Ue di esportazione di armi e beni a duplice uso, civile e militare. È quanto sostengono fonti riservate e ben qualificate, che hanno sollevato non pochi dubbi ed evidenziato i molti misteri che ruotano intorno a questa vicenda, che Panorama è in grado di ricostruire.
Primo mistero: l’origine
Oggi si chiama Shahid Roudaki, in onore del comandante «martire» – da cui il termine Shahid – della marina persiana, Abdollah Rudaki. Ma il problema è che molte fonti aperte internazionali convengono che quella nave da guerra sia in realtà la ex Altinia, una naviglio del tipo Ro-Ro (merci e container), costruito nel 1992 in provincia di Rovigo dal Cantiere Navale Visentini. La cui società, Giovanni Visentini Trasporti Fluviomarittimi, l’avrebbe poi ceduto per 2 milioni di dollari. Già, ma a chi?
Al momento, il nuovo armatore risulta del tutto sconosciuto. Dalle ricostruzioni della vicenda, sappiamo che la gestione tecnica della Altinia era stata affidata dalla Giovanni Visentini alla SeaQuest Shipmanagement, un fornitore privato e indipendente che si occupa di gestione navi, equipaggio, operazioni navali e servizi di consulenza marittima per conto terzi. Ma non di cessioni o compravendite. SeaQuest ha centri servizio in Italia, Croazia, Singapore, Svizzera e persino un ufficio tecnico in Cina.
Secondo mistero: le date
La nave è stata inaugurata in pompa magna il 19 novembre 2020 in Iran, alla presenza del Comandante in capo delle Guardie della rivoluzione islamica, generale Hossein Salami e del Comandante della marina, Ammiraglio Alireza Tangsiri. Ma era giunta nel Golfo Persico oltre un anno prima, nella primavera del 2019, per essere riadattata come naviglio da guerra.
Contattata telefonicamente da Panorama, la società Visentini ha tuttavia sostenuto che quella nave «è stata venduta tanti anni fa». Dunque, apparentemente prima del 2019. Questo contraddice però la nota stampa pubblicata sul magazine Ship2Shore, che il 5 aprile 2019 annunciava la imminente cessione della Altinia, confermando anche il prezzo di vendita: 2 milioni di euro.
La conferma arriva anche da uno dei responsabili della SeaQuest, contattato da Panorama: «Ci siamo occupati della gestione della nave Altinia per conto dell’armatore Giovanni Visentini Trasporti Fluviomarittimi, di cui SeaQuest gestisce una buona parte della flotta a partire dal 2015 in qualità di management tecnico. La Altinia all’epoca batteva bandiera italiana ed è stata da noi gestita a partire dal 4 luglio di quello stesso anno e fino alla cessione, avvenuta il 21 maggio 2019. In quel giorno, la nave si trovava nel porto di Cagliari. Abbiamo curato gli aspetti tecnici secondo gli standard, mentre non siamo stati coinvolti nelle trattative della vendita. Presumo che l’equipaggio dell’armatore Visentini sia sbarcato quando la nave è stata ceduta, essendo subentrato un nuovo armatore. Noi non abbiamo fatto alcun passaggio di consegne, per cui ignoriamo cosa sia accaduto dopo. Sotto la nostra gestione la nave non ha mai cambiato nome».
Terzo mistero: l’intermediario
Dopo la cessione del 2019, secondo alcune fonti la nave è stata ribattezzata Ha Spring, battente bandiera delle Comore; secondo altre fonti, invece, avrebbe preso il nome di Galaxy F battente bandiera di Panama. In ogni caso, da quel momento è scomparsa dai radar internazionali. Ultimo avvistamento: Singapore. Fino a quando non è rispuntata nel porto iraniano di Bandar Abbas, sotto il nuovo nome di Shahid Roudaki e in assetto da guerra.
Se quanto elencato fosse vero, c’è il dubbio che il nostro Paese sia coinvolto – sia pur involontariamente, magari per omesso controllo – in un caso di violazione dell’embargo che vige sul Paese islamico, commessa da un soggetto privato. Vale qui la pena ricordare che l’embargo stabilito dalla risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è scaduto il 18 ottobre 2020, cioè un mese fa, ma i fatti risalgono a molto tempo prima.
Non a caso, l’onorevole Antonio Zennaro, ex parlamentare del Movimento Cinque Stelle e oggi nel gruppo misto, lo scorso 27 novembre ha presentato un’interrogazione a risposta scritta sulla vicenda al Consiglio dei Ministri, ai ministeri della Difesa e dei Trasporti.
Zennaro ha chiesto al governo di confermare «se questa nave di fabbricazione italiana sia entrata a far parte della Marina militare iraniana», e di verificare se eventualmente «ci siano state operazioni di triangolazione commerciale volte a eseguire attività di elusione delle sanzioni internazionali che vietano questo tipo di compravendite classificate come dual use». Dove dual use sta per impiego sia civile che militare ed è riferita ai divieti Ue.
Quarto mistero: immatricolazione e dismissione
Il dubbio dell’onorevole è lecito, considerato il buco informativo sui cambi di nome e compravendite della nave Altinia. Chiarisce l’avvocato Fabio Toriello, specializzato in diritto marittimo: «Secondo l’ordinamento giuridico italiano, tutti gli atti di trasferimento della proprietà sulle navi devono essere resi pubblici trascrivendoli nella matricola, cioè il registro pubblico tenuto presso gli Uffici di Compartimento Marittimo, presso le Capitanerie di Porto, riguardante tutti gli atti che concernono la “vita” giuridica della nave». A quanto risulta a Panorama, la matricola dell’Altinia è IMO: 9048471.
Qualora il proprietario intenda vendere la nave e cancellarla dalla matricola italiana, inoltre, si parla di «dismissione della bandiera italiana. In tal caso, si deve fare apposita dichiarazione all’ufficio di iscrizione della nave, che procede alla pubblicazione della dichiarazione del proprietario con affissione nell’ufficio del porto e inserzione nel foglio degli annunci legali, ricevendo adeguata pubblicità». Ma di questi passaggi, al momento in cui scriviamo, non c’è evidenza.
Come sanno bene i marinai di tutto il mondo, cambiare nome a un’imbarcazione porta sfortuna. E, in effetti, ancor prima di questo mistero, la Altinia non navigava in buone acque. Nel 2014 il ministero della Difesa italiano già conosceva la nave: l’aveva affittata da un privato pagando circa 5 milioni di euro, per riportare a casa dall’Afghanistan mezzi e uomini del nostro esercito. Non fu un buon affare, visto che nel maggio di quell’anno la Altinia prese fuoco nel golfo di Aden, davanti alle coste della Somalia. Salvata da un incrociatore cinese, l’incidente provocò imbarazzo tra gli alleati della Nato. Chissà cosa diranno adesso, se risultasse che quello sventurato naviglio è finito in mano al nemico. E chissà cosa replicheranno loro i nostri ministri degli Esteri e della Difesa. Infine, verrebbe da domandarsi quanto ne sapessero i servizi segreti italiani.
Di Luciano Tirinnanzi e Stefano Piazza. Pubblicato su Panorama
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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