La Russia negli ultimi anni è stata colpita da diversi piccoli attacchi terroristici ed è in crescita la radicalizzazione in alcune aree del Paese. Cosa fa Mosca per affrontare tale minaccia?
L’EVOLUZIONE JIHADISTA
Le principali aree a rischio terrorismo sono indubbiamente quelle dove la Russia ha concentrato la maggior parte delle attività di antiterrorismo e controterrorismo: nel Caucaso settentrionale, nel Daghestan, in Cecenia, nell’Inguscezia e nel Kabardino-Balkaria. Nelle aree citate sono operative due organizzazioni jihadiste, quelle legate ad al-Qa’ida, come l’Emirato del Caucaso (Imarat Kavkaz – IK) e il Battaglione Imam Shamil, e lo Stato Islamico con la Wilayah al-Qawqaz (ISWQ). Negli ultimi anni Stato Islamico (IS) e al-Qa’ida hanno reclutato numerosi combattenti nelle aree sopra citate, non solo sfruttando i frustrati sentimenti indipendentisti locali, ma anche a causa degli abusi della polizia russa che hanno contribuito ad alimentare la radicalizzazione e il reclutamento jihadista. I reclutatori prendono di mira specificamente i ceceni, i lavoratori migranti in Russia e i giovani musulmani, sfruttando le loro difficili condizioni economiche e sociali. Tra i reclutati ci sono anche numerosi kirghisi emigrati in Russia che vengono radicalizzati dalla reti ribelli cecene attive nei centri di accoglienza russi. Al-Qa’ida e IS reclutano specificatamente i ceceni a causa del loro avanzato addestramento militare dovuto ad anni di combattimenti contro la Russia.
L’attuale leader di al-Qa’ida, Ayman al-Zawahiri, ha trascorso diversi mesi nella regione del Caucaso nel 1996 prima di diventare il secondo in comando del gruppo qaedista. Al-Zawahiri ha più volte affermato nei video del gruppo che il Caucaso deve essere un rifugio sicuro per i jihadisti di tutto il mondo. Doku Umarov, alias Dokka Abu Usman, era un leader ribelle ceceno legato ad al-Qa’ida che ha combattuto contro la Russia in entrambe le guerre cecene. Dopo che la Russia ha assunto il controllo della Cecenia nel 2007, Umarov è diventato l’emiro fondatore dell’Emirato del Caucaso (IK), con l’obiettivo di espellere le forze russe e formare un califfato nella regione. In numerose dichiarazioni prima della sua morte, avvenuta nel 2013, Umarov affermò che il gruppo avrebbe preso di mira i russi e chiunque facesse la guerra contro l’Islam e i musulmani. L’IK ha ripetutamente dichiarato fedeltà ad al-Qa’ida e al suo leader, al-Zawahiri. Umarov ha coordinato diversi attacchi terroristi interni, tra cui l’attentato del 2009 a un treno pendolare tra Mosca e San Pietroburgo, gli attentati suicidi del 2010 nella metropolitana di Mosca e l’attentato all’aeroporto di Mosca del 2011.
Fig. 1 – Sospetti membri dello Stato Islamico arrestati durante un raid della polizia a Mosca, dicembre 2019
Nel 2014 è divenuto operativo anche il Battaglione Imam Shamil, salito alle cronache nell’aprile 2017, quando ha rivendicato la responsabilità dell’attentato alla metropolitana di San Pietroburgo. Nella dichiarazione il gruppo ha affermato che l’attacco era stato ordinato direttamente dal leader qaedista Ayman al-Zawahiri e che l’azione era quindi per conto di al-Qa’ida nel Caucaso per combattere la Federazione Russa.
Nel 2014 diversi jihadisti ceceni e del Daghestan dell’IK hanno promesso fedeltà al defunto leader dello Stato Islamico (IS) Abu Bakr al-Baghdadi, che nel giugno 2015 ha annunciato la creazione della Wilayat Qawqaz, con a capo l’ex militante qaedista Muhammad al-Qadarī. A giugno 2019 l’Islamic State Wilayat Qawqaz (ISWQ) ha pubblicato un breve video in cui i militanti della provincia del Caucaso, parlando in russo e definendosi “mujaheddin dello Stato Islamico in Russia”, rinnovavano il loro giuramento di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdādī, giuramento confermato al nuovo califfo al-Qurayshi nei mesi scorsi.
La Russia, infine, nonostante abbia riconosciuto i talebani come un’organizzazione terroristicaa, ha, sin dal 2007, sempre mantenuto contatti con essi. Dal 2018 ha concretamente iniziato a dialogare in modo informale con i talebani, avviando così una strategia diplomatica volta alla riappacificazione tra i talebani e il Governo di Kabul per motivi di sicurezza, in particolare lungo il confine afghano-tagiko-uzbeko, dove sono crescenti le infiltrazioni di rifugiati, narco-trafficanti, contrabbandieri di armi e del terrorismo transnazionale, in particolare della cellula afghana dello Stato Islamico (ISK).
IL RISCHIO FOREIGN FIGHTERS
La Russia teme l’ascesa del terrorismo jihadista nel Paese, in primis dello Stato Islamico. Il Cremlino ha stimato che tra i 3.500 e i 5mila foreign fighters russi stavano combattendo tra le fila dell’IS in Siria e in Iraq. La Russia è stato tra i primi Paesi a organizzare i ritorni di tali cittadini e delle loro famiglie. La maggior parte delle persone rimpatriate sono donne e bambini, originari principalmente delle Repubbliche islamiche russe nel Caucaso. La FSB ha identificato 70 cellule terroristiche, 38 delle quali affiliate all’IS, in 24 regioni del Paese. Il ritorno in Russia delle donne e dei bambini di membri dell’IS è complicato. Distinguere le vittime dai carnefici non è facile, né lo è stabilire chi diventerà o meno una minaccia futura, poiché molti foreign fighters sono stati usati dai leader jihadisti come reclutatori o autori di attentati terroristici. Ad oggi nessuno di quelli rientrati, donne e bambini compresi, sono stati sorpresi a partecipare alle operazioni jihadiste in Russia. Tuttavia, il meccanismo di riabilitazione è complicato e c’è il rischio che i loro problemi e traumi psicologici li inducano a radicalizzarsi o a farlo di nuovo.
Fig. 2 – Operazione antiterrorismo in un villaggio del Daghestan, novembre 2019
ANTITERRORISMO E CONTROTERRORISMO
L’attività terroristica rimane un importante problema per Mosca nelle aree indicate, nonostante gli aumenti delle attività di antiterrorismo e gli sforzi di consolidamento politico. Le forze russe impegnate nell’ambito dell’antiterrorismo e del controterrorismo sono la FSB, i servizi segreti della Federazione Russa e le forze della Guardia Nazionale, formate nell’aprile 2016, che hanno il compito di combattere l’estremismo, il terrorismo e di mettere in sicurezza i confini del territorio russo.
Per ciò che concerne la legislazione antiterrorismo, Mosca ha approvato nel luglio 2016 la Yarovaya law, composta da diversi emendamenti per il contrasto del terrorismo e dell’estremismo, tra cui l’ampliamento dei poteri delle forze dell’ordine, nuovi requisiti per la raccolta dei dati, potenziamento del controllo nel settore delle telecomunicazioni e una maggiore regolamentazione delle attività religiose, incluso il divieto di svolgere azioni missionarie in contesti non religiosi. La mancata denuncia di atti di terrorismo e la sua esortazione sui social media, inoltre, sono riconosciuti come reati. Nello stesso anno è stata approvata la creazione di un sistema informale per la registrazione biometrica dei dati e delle operazioni di intelligence. A maggio 2019 la Russia ha modificato, inasprendola, la legge federale relativa alle procedure di uscita e ingresso nel Paese.
Per quel che riguarda il contrasto al finanziamento del terrorismo, la Russia è un membro della Financial Action Task Force (FATF), del Council of Europe’s Committe of Exports, dell’Evaluation of Anti-Money Laundering Measures and the Financing of Terrorism e del Comitato di esperti sulla valutazione delle misure antiriciclaggio e sul finanziamento del terrorismo (Moneyval). Il servizio federale di monitoraggio finanziario russo (Rosfinmonitoring) è membro dell’Egmont Group of Financial Intelligence Units. La Russia è, inoltre, membro del Global Counterterrorism Forum (GCTF) e partecipa attivamente a diverse Organizzazioni multilaterali, tra cui il Summit dell’Asia orientale (EAS), la Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) e il Forum regionale dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN). Per quanto riguarda la cooperazione regionale e internazionale, la Russia ha aumentato significativamente i propri sforzi antiterrorismo, concludendo accordi bilaterali in materia di sicurezza con Afghanistan, Australia, Cina, India, Kirghizistan, Uzbekistan, Nigeria, Pakistan, Serbia, Turchia e Unione Europea.
Daniele Garofalo
Nato a Salerno, classe 1988, si è specializzato in Storia e dottrine Politiche all'Università di Napoli Federico II. Ricercatore ed analista in materia di Terrorismo Islamista e Geopolitica. Autore del libro “Medio Oriente Insanguinato” (Edizioni Enigma, 2020).
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