Sono almeno 14 le persone che hanno perso la vita in un attacco armato a una chiesta protestante avvenuto la mattina di domenica 1 dicembre in Burkina Faso, durante una celebrazione religiosa. La chiesa presa di mira nell’attacco si trova nel villaggio di Hantoukoura, vicino al confine con il Niger. L’area in questione è nota per i frequenti atti di banditismo e nel corso degli ultimi anni è stata oggetto di numerose aggressioni e violenze da parte di gruppi jihadisti affiliati ad al Qaeda e allo Stato Islamico provenienti dal Mali. Non si conosce ancora l’identità degli assalitori che, come ha scrito l’agenzia AFP, dopo l’attacco sono fuggiti a bordo di uno scooter.

Fonte: BBC

In Burkina Faso ci sono stati diversi attacchi contro obiettivi cristiani, attacchi che dallo scorso febbraio hanno causato la morte di almeno 21 persone, un numero di vittime che non conta quelle di domenica 1 dicembre. La popolazione del Paese africano è composta per due terzi da musulmani e per un terzo da cristiani. Negli ultimi anni i jihadisti hanno colpito sia cristiani che musulmani, questi ultimi non ritenuti sufficientemente radicali. Secondo AFP, almeno 700 persone sarebbero state uccise da quando sono iniziati i combattimenti lungo il confine con il Mali. A inizio novembre 2019 almeno 37 civili sono morti e altri 60 sono rimasti feriti in un assalto a un convoglio che trasportava il personale della compagnia mineraria canadese Semafo. Nel corso del 2018 gli attacchi sono stati frequenti anche nell’est e nell’ovest del Paese, mentre in precedenza avevano interessato solo il nord. La capitale Ouagadougou è stata colpita più volte. Le violenze hanno provocato una vera emergenza umanitaria perché almeno un terzo del territorio del Paese è stato travolto dagli scontri tra i gruppi armati, rendendendo molte aree inaccesibili al personale umanitario delle Nazioni Unite, hanno spiegato fonti dell’UNICEF. Prima del 2015 il Burkina Faso era uno dei Paesi africani più tanquilli e il terrorismo era quasi del tutto sconosciuto. Le diverse religioni coesistevano in maniera sostanzialmente pacifica. Il rischio previsto dagli analisti è che i jihadisti, sia gruppi interni sia formazioni internazionali, in Burkina Faso sfruttino l’instabilità per espandersi verso la costa. Il Burkina Faso sarebbe il centro di questo processo di espansione.

 

 

A causa della presenza dei gruppi armati, circa 300 mila persone sono state costrette a fuggire. Questi avvenimenti hanno determinato conseguenze negative per l’agricoltura e il commercio e moltissimi bambini hanno smesso di andare a scuola. Il governo sta cercando di ristabilire la sicurezza nel Paese, conseguendo solo timidi risultati. Come ha affermato il Ministro dell’Istruzione a Stanislas Ouaro a DW, 400 scuole sono state riaperte.

L’oro degli islamisti

L’organizzazione non governativa International Crisis Group in un recente report ha scritto che gli islamisti hanno preso per la prima volta il controllo delle minerie d’oro del Sahel nel 2016. In base al report, in Mali, Burkina Faso e Niger, l’oro starebbe attirando l’attenzione di molti gruppi armati. Le forze di sicurezza di tali Paesi lottano per mantere il controllo delle miniere d’oro in aree abbandonate dallo Stato. L’oro, dunque, sta diventando una nuova fonte di guadagno per i numerosi gruppi, inclusi gruppi islamisti. Le formazioni islamiste potrebbero ottenere una maggiore autonomia sfruttando queste risorse, baippassando in questo modo lo Stato. Tale processo, avverte il rapporto, se non sarà regolamentato e fermato, avrà come esito l’aumento della violenza nella regione. Secondo gli autori del rapporto, gli Stati del Sahel, per gestire tale minaccia, dovrebbero impostare una presenza maggiore in queste aree, sia in maniera diretta sia attarverso attori privati. Meccanismi internazionali e sub-regionali dovrebbero limitare le esportazioni clandestine di oro e impedire dunque che questa risorsa vada a finanziare i gruppi militanti.

Soldiers from Burkina Faso patrol on the road of Gorgadji in the Sahel area of the country on March 3, 2019. Luc Gnago, Reuters