Mentre la domanda di petrolio negli USA cresce, l’Ecuador stringe alleanze per aumentare la produzione interna. Il gap, però, potrebbe essere colmato dal Venezuela.
1. LENIN MORENO E IL RILANCIO DELLA PRODUZIONE
Il petrolio rappresenta per l’Ecuador una considerevole fonte di reddito, costituendo circa il 34% del suo export. Le inchieste Lava jato e i Panama Papers, inoltre, hanno gettato luce sugli affari dell’ex ministro degli Idrocarburi Jorge Pareja, coinvolto nel caso di corruzione. Il celebre referendum con cui Lenin Moreno ha posto il limite alle candidature presidenziali – visto come l’atto di liquidazione politica del correismo – conteneva anche un quesito relativo allo sfruttamento dei giacimenti nel Parco Nazionale Yasuni, a dimostrazione di quanto la questione energetica fosse fin dall’inizio parte della visione politica del nuovo Presidente. All’interno della sua opera di revisione dell’eredità di Correa, Moreno ha richiesto l’attenzione dell’autorità giudiziaria su progetti infrastrutturali legati al settore petrolifero per un valore di 4,9 miliardi di dollari, sui quali graverebbero abusi e gestione non trasparente dei fondi dell’OPEC da parte della precedente Amministrazione. Una richiesta simile era stata avanzata nel 2017, quando lo stesso Moreno aveva richiesto l’attenzione delle Nazioni Unite al fine di condurre una revisione tecnica ed economica sui cinque progetti intrapresi da Rafael Correa.
Sul fronte della produzione, l’Ecuador si impegnò a portare il totale a 522mila barili al giorno – dai 550mila di partenza, – in ottemperanza alle indicazioni dell’OPEC. Stando ai dati di dicembre 2018, l’obiettivo è stato raggiunto.
Le novità più interessanti vengono dagli accordi stretti nell’ultimo anno con la Cina – con cui Lenin Moreno vorrebbe lavorare per eliminare lo schema oil-for-loans (petrolio in cambio di prestiti) applicato per anni – e il Perù – con il quale l’Ecuador cerca di intraprendere un percorso per lo sfruttamento delle riserve di petrolio e gas condivise, includendo una possibile joint venture fra Petroamazonas e Petroperu.
Fig. 1- Il presidente Lenin Moreno in visita in Cina presso il premier Li Keqiang il 13 dicembre 2018, Pechino
2. L’EREDITÀ DI CORREA
Vedendo le manovre dell’attuale Presidenza viene da chiedersi cosa abbia fatto l’Amministrazione precedente e se vi siano delle differenze sostanziali. Se si guarda l’aspetto prettamente quantitativo, l’ex presidente Correa non sembra aver ridotto la produzione di petrolio in maniera sensibile: dal 2007 al 2017 l’Ecuador ha infatti mantenuto il sensibile aumento della produzione iniziato all’incirca nel 2004 dai circa 310mila barili al giorno agli attuali 520mila circa. La produzione di petrolio dell’Ecuador si è ridotta con la crisi del 2008, fino al 2010, segnando poi una crescita che si è mantenuta costante fino al 2015, con l’abbassamento drastico del prezzo a partire dal 2014.
Stando a quanto affermato dall’organizzazione senza scopo di lucro Rainforest Information Centre, circa 728mila ettari delle foreste protette dell’Ecuador sono state rese disponibili a fini estrattivi a partire dal 2008. Fra queste, naturalmente, il Parco Nazionale Yasuni.
La differenza sostanziale fra i due leader è la volontà di Lenin Moreno di attrarre maggiori capitali privati all’interno del settore del petrolio e gas, anche per raggiungere il nuovo obiettivo di produzione fissato a 590mila barili al giorno per il 2019, in concomitanza con il sostegno per un aumento della produzione da parte dell’intera OPEC.
Fig. 2 – Rafael Correa e Lenin Moreno all’inaugurazione dell’Assemblea Nazionale il 24 maggio 2017
3. IL VENEZUELA E IL GOLFO DEL MESSICO
La produzione di petrolio in Venezuela segna un calo costante dal 2016 a causa degli effetti della crisi politica tuttora in corso e delle pessime condizioni dell’industria energetica, colpita dagli effetti dei bassi investimenti e di strategie di gestione non sempre ottimali. Nemmeno gli investimenti cinesi, concordati dalla Banca Cinese di Sviluppo in 5 miliardi di dollari, saranno sufficienti, considerando che ingenti quantità di denaro sono già state investite nell’industria estrattiva venezuelana senza che il declino in corso venisse arrestato.
Tale crisi determina una perdita di quote di mercato da parte del Venezuela in un momento in cui la domanda di petrolio degli USA sta tornando a crescere. In base a quanto scritto dal senior fellow del CSIS Nikos Tsafos, il calo delle importazioni visto negli ultimi anni è stato causato sia dall’aumento della produzione interna che dal calo della domanda, che sta mostrando segnali di crescita – si parla di più di 20 miliodni di barili al giorno nel 2018, prima volta dal 2007. Alla base del nuovo trend ci sarebbe la crescita del settore petrochimico e, fra le altre tipologie, la crescita del trasporto via auto e aereo. Inoltre, sarebbe un segnale di mancato raggiungimento dei target di efficienza da parte delle precedenti Amministrazioni, una tendenza destinata a crescere con la Presidenza Trump.
Nonostante la disastrosa situazione in cui versa il settore, il Venezuela ha accresciuto del 43% fra febbraio e giugno 2018 la quantità di petrolio grezzo inviata verso gli Stati Uniti, rimasti sempre il principale mercato di riferimento del Paese latinoamericano. Il Golfo del Messico, dove si concentrano le raffinerie capaci di trattare il grezzo venezuelano, è ancora la prima destinazione e il pilastro della maggiore fonte di introiti del Governo di Caracas. Inoltre, nel momento in cui la capacità di trasporto canadese non sta aumentando – al contrario della produzione – e il Messico ha una produzione stagnante, il Venezuela rimane un’alternativa utile per Washington.
Mentre il Venezuela continua a puntare agli Stati Uniti, l’Ecuador stringe alleanze con un Paese – il Perù – con cui condivide un forte legame con la Cina, molto interessata alle riserve petrolifere sudamericane per sostenere la propria crescita. Gli USA potrebbero certamente essere propensi a differenziare ulteriormente le proprie fonti, tuttavia la consolidata dipendenza del Venezuela dalle raffinerie del Golfo del Messico e la sua posizione geografica più favorevole rispetto a Ecuador e Perù renderanno probabilmente Caracas ancora più appetibile rispetto agli altri due Paesi.
Riccardo Antonucci
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