Sabato scorso nello Sri Lanka, nel corso di una conferenza stampa, l’ex presidente maldiviano in carica tra 2008 e il 2012, Mohamed Nasheed, ha chiesto aiuto alla comunità internazionale per i 160 cittadini delle Maldive in carcere in Siria. A proposito di Nasheed, andrebbero ricordati gli errori commessi nella sottovalutazione del fenomeno jihadista, errori ripetuti anche dall’altro ex presidente, anche se sarebbe meglio definirlo un dittatore, Maumoon Abdul Gayoom. Per 30 anni al potere, Maumoon Abdul Gayoom a un certo punto della sua presidenza pur di sfuggire alle difficoltà politiche utilizzò il Corano come strumento di legittimazione del proprio governo.
Come sempre, occorre andare indietro nel tempo per avere una piena comprensione dei fenomeni di ciascun Paese. La memoria va allo spaventoso tsunami del 2004 che fece 226.000 vittime accertate, anche se decine di migliaia di persone risutano ancora disperse. E sempre a causa dello tsunami tra i 3 e 5 milioni di persone avrebbero perso la casa. Dopo la tragedia, arrivarono nelle Maldive diverse onlus islamiche finanziate da alcuni Paesi del Golfo Persico. Due in particolare, Idara Khidmat-e-Khalq e Jamaat ud-Dawa (JUD, il gruppo di chiamata), finirono nella lista del Dipartimento di Stato americano perché contigue al gruppo terroristico Lashkar-e Taiba o “Esercito dei giusti”, tra i più temuti gruppi terroristici in Asia meridionale. Così, l’estremismo islamico di matrice “Jama’at Tabligh” e legato alle correnti di pensiero “deobandi” e “wahhabi” si fece strada tra i disperati e tra gli sfollati delle Maldive.
Tra questi disperati emersero alcuni predicatori estremisti come lo sceicco Ibrahim Fareed o lo sceicco Adam Shameem, che ha studiato “Jamia Salafiyya” in Pakistan, alla “Medina Islamic University” in Arabia Saudita e ha conseguito un Master in “Islamic Revealed Knowledge and Heritage” presso “l’International Islamic University in Malaysia”. A causa loro l’islam maldiviano ha deragliato e sono iniziate le violenze contro le donne sorprese senza il velo nei luoghi pubblici, contro la comunità sufi e i giornalisti. Mentre è ancora al vaglio la richiesta di applicazione della sharia nella cosituzione maldiviana. Nonostante tutto questo, ancora oggi il governo maldiviano consente all’Arabia Saudita di costruire moschee e di finanziare le scuole coraniche della capitale Malé. Il governo, inoltre, non sa come affrontare il possibile ritorno dei foreign fighter partiti dagli atolli maldiviani per andare a combattere sotto le bandiere nere del sedicente Stato Islamico.
Nel suo appello, che semra destinato a rimanere lettera morta, Mohamed Nasheed ha affermato: «Noi non conosciamo la situazione che hanno vissuto e non abbiamo la capacità di riabilitare queste persone nella misura in cui non abbiano un ulteriore impatto sulla società. Penso che la comunità internazionale dovrebbe riunirsi e decidere cosa fare con loro, speriamo che ci sia un accordo». Oltre ai foreign fighter, ci sono tra i 45 e i 50 bambini che languono nei campi di prigionia siriani e iracheni, molti dei quali nati durante il conflitto. Anche di loro l’ex presidente ha parlato: «Dobbiamo prendere provvedimenti a livello internazionale». Secondo le Nazioni Unite, il 65% degli oltre 70 mila rifugiati nel campo di Al Hol, nel nord-est della Siria, sono bambini di età inferiore ai 12 anni. Di questi 2.500 sono stranieri e vengono tenuti isolati in una sezione ristretta. Nel campo la situazione è spaventosa, i prigionieri vivono ammassati in misere tende dove le temperature superano i 40 gradi.
Le forze democratiche siriane, SDF, hanno chiesto ai paesi da dove provengono i detenuti di riprendersi i loro cittadini per celebrare i processi, per l’espiazione delle eventuali pene, per de-radicalizzarli e per l’eventuale e successivo reinserimento nella società. Allo stato attuale solo Russia, Germania, Danimarca, Francia, Belgio, Norvegia e Svezia hanno aderito alla richiesta e, secondo l’ONU, 526 combattenti stranieri hanno lasciato il terribile campo di Al Hol.
Le stime dell’Unicef parlano di 9.000 bambini figli di combattenti dell’Isis provenienti da 60 Paesi. Durante la conferenza stampa Mohamed Nasheed ha anche ricordato come i 392.709 abitanti delle Maldive, dei quali 340.000 sono musulmani sunniti, per vivere facciano molto affidamento sul turismo di lusso. Il settore turistico sarebbe danneggiato con il rientro dei foreign fighter perché questi ritorni potrebbero innescare una stagione di terrore. Come del resto è già accaduto nello Sri Lanka, dove l’impatto degli attentati di Pasqua ha già pesantemente colpito il fiorente settore turistico. Secondo le stime, il turismo in Sri Lanka dovrebbe perdere almeno 1,5 miliardi di dollari nel 2019 e dovrebbe registare un calo del 30% nel numero di visitatori. In segno di solidarietà e di fiducia, oltre due terzi dei membri del Parlamento maldiviano si sono recati la scorsa settimana per tre giorni proprio nello Sri Lanka, così da mandare un messaggio positivo anche ai turisti e ai governi stranieri.
Le Maldive, sorprendentemente, sono la nazione non araba che in rapporto alla popolazione ha fornito il maggior numero di jihadisti. Negli anni questi jihadisti hanno aderito ad Al Qaeda, allo Stato islamico o al Fronte Al Nustra. Anche a causa delle distanze, i resort turistici non sono mai stati colpiti da attentati, ma la CIA di recente ha informato il governo maldiviano su alcuni dialoghi definititi “preoccupanti” e su delle conversazioni intercettate nell’area, nelle quali si faceva riferimento ad azioni da compiere contro “gli infedeli”. Per i terroristi, l’occasione di attaccare l’utimo paradiso rimasto ai turisti occidentali potrebbe divenate, prima o poi, una tentazione irresistibile.
Foto di copertina: lo sceicco Ibrahim Fareed
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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