In Iraq proseguono da quattro giorni le proteste della popolazione contro corruzione, disoccupazione e bassi standard di vita. Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco direttamente contro i dimostranti. Sarebbro almeno i 46 morti, centinaia i feriti. Le violente proteste sono iniziate martedì scorso a Baghdad e velocemente si sono estese ad altre città nel sud del Paese. Il primo ministro iracheno Adel Abdul-Mahdi ha fatto delle promesse molto vaghe su possibili riforme, che – come scrive il Guardian – difficilmente potranno calmare gli iracheni. Nei primi tre giorni di proteste ci sarebbero stati almeno 27 morti.
La sollevazione popolare è la crisi più importante per il primo ministro, in carica dall’anno scorso. La popolazione irachena accusa i politici di ostacolare la ripresa del Paese segnato da anni di conflitto, a causa della corruzione e della persistente negligenza delle istituzioni. Il popolo, costituito da 40 milioni di persone, chiede lavoro, servizi migliori e di superare il gap che riguarda le carenti reti infrastrutturali. La disoccupazione tra i giovani sarebbe salita al 25%. Le proteste interessano in modo particolare il sud dell’Iraq, a maggioranza sciita. In molte città i dimostranti hanno sfidato il coprifuoco e nella notte sono tornati ad invadere le strade. Il nord dell’Iraq, a maggioranza curda, e le province occidentali sono zone relativamente più calme. Il premier Adel Abdul-Mahdi ha preso la parola e in discorso per la tv ha riconosciuto il malcontento popolare: «Non viviamo in una torre d’avorio, camminiamo come voi per le strade di Baghdad». Adel Abdul-Mahdi ha detto che il salario minimo per le famiglie più povere è un argomento da prendere in considerazione, ma ha anche avvertito che non ci saranno «soluzioni magiche».
Demonstrators gesture at a protest over unemployment, corruption and poor public services, in Baghdad, Iraq October 2, 2019. REUTERS/Thaier al-Sudani

Redazione
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