La Cina è al centro della catena di approvvigionamento mondiale di terre rare. La direzione strategica presa dal Dragone sembra, tuttavia, aprire a scenari inediti. Se a oggi Pechino risulta esserne il maggiore esportatore al mondo, in futuro potrebbe divenirne un importatore netto.

LE TERRE RARE: COSA SONO E PERCHÉ SONO STRATEGICHE

Con la definizione di terre rare si identificano 17 elementi chimici distinti, 15 dei quali sono parte del gruppo dei lantanoidi, ovverosia quegli elementi che nella tavola periodica assumono numero atomico compreso tra 57 e 71, ai quali si aggiungono ittrio e scandio, che, pur essendo metalli di transizione, sono considerati terre rare a seguito di una marcata affinità chimico-fisica con esse. Gli elementi in questione sono ulteriormente divisi secondo un criterio basato sul loro numero atomico, da cui derivano i sottogruppi denominati LREE (Light Rare Earth Elements), proporzionalmente più abbondanti nella crosta terrestre, e HREE (Heavy Rare Earth Elements), più rari. Il primo gruppo è comprensivo di tutti quegli elementi il cui numero atomico varia tra 57 e 63, mentre il secondo include quelli il cui numero atomico va da 64 a 71.
Le terre rare sono state definite le “vitamine dell’industria moderna” a causa della loro importanza strategica per una pletora di applicazioni tecnologiche, fra cui la realizzazione dei magneti NdFeB.Tali manufatti, basati su neodimio, praseodimio e diprosio, sono centrali per la componentistica di computer e smartphone, per dispositivi audio di vario genere, per il settore biomedicale (nello specifico per i macchinari MRI) e per l’industria della Difesa ad ampio spettro, con particolare rilevanza per il comparto aerospaziale. Ma ci sono numerose altre applicazioni legate allo sfruttamento diretto delle terre rare, di fatto fondamentali anche per l’oil & gas, l’industria nucleare, le applicazioni ottiche avanzate, per il comparto metallurgico e per i sistemi d’illuminazione.

Fig. 1 – Bayan Obo, Mongolia Interna: questa località è il fulcro della produzione cinese di terre rare

‘IL MEDIORIENTE HA IL PETROLIO, LA CINA HA LE TERRE RARE’

Sebbene siano di fondamentale importanza per una grande varietà di applicazioni industriali moderne, l’utilizzo delle terre rare per fini commerciali ha avuto inizio solo a partire dal 1880 da parte di Norvegia e Svezia in veste di principali Paesi estrattori, seguite negli anni da Stati Uniti, India, Sudafrica e Brasile.
Nel 1950 la miniera di Steenkampskraal, nella regione sudafricana del Capo Occidentale, era riconosciuta come il maggiore produttore al mondo di terre rare, ottenute come sottoprodotto dell’estrazione del torio, ricavato dai giacimenti di monazite e di bastnäsite.
La prima metà degli anni Sessanta segnò l’accrescersi dell’importanza delle terre rare in una molteplicità di campi di applicazione distinti, tanto da indurre all’apertura di miniere specificatamente destinate alla loro estrazione. In tal senso un esempio emblematico è quello del giacimento di Mountain Pass, in California, il maggiore in termini di output fino al 1985.
Nel 1978, con il varo delle politiche di “Riforma e Apertura”, la Repubblica Popolare Cinese (RPC), conscia della presenza sul territorio nazionale di vasti depositi di terre rare e della loro importanza sempre più strategica, varò un programma di sostegno statale funzionale a potenziarne i processi di estrazione e lavorazione. Questo, unitamente all’apertura cinese al commercio internazionale, al bassissimo costo della manodopera locale e a una legislazione sulla salvaguardia ambientale pressoché inesistente, portò a una consistente fioritura dell’industria estrattiva nel Paese. Numerose furono le società operanti nel settore che, attratte dalle condizioni favorevoli, optarono per la delocalizzazione nella RPC di molti dei processi produttivi. L’esplosione del settore minerario associato alle terre rare fu tale che tra il 1978 e il 1989 crebbe in media del 40% annuo. Se l’oro del Medio Oriente era il petrolio, quello della Cina era certamente localizzato nei ricchi giacimenti ferrosi di Bayan Obo, nella Mongolia Interna, e nei depositi di argilla lateritica di Fujian, Guangdong, Guangxi, Hunan, Jiangxi, Shandong, Yunnan e Sichuan. A oggi da questi siti proviene la totalità delle terre rare che in Cina vengono estratte, anche illegalmente, raffinate ed esportate.

Fig. 2 – Operai al lavoro nel centro estrattivo di Bayan Obo. L’inquinamento nell’area circostante è estremamente elevato

IL RIFLESSO DEL MONOPOLIO DI PECHINO

I risultati del processo di delocalizzazione furono duplici: innanzitutto un progressivo e costante accentramento in Cina dell’industria di settore, quindi un consistente trasferimento di know-how proveniente dall’estero, ottenuto tramite acquisizioni e joint-ventures. Questi fattori hanno permesso alla RPC, nel corso di alcuni anni, non solo di diventare il produttore primario di ossidi di terre rare, ma anche di controllare le catene del valore di molte delle applicazioni incentrate sul loro sfruttamento, come ad esempio i già citati magneti al neodimio, dei quali al 2013 la Cina produceva il 75%.
Dal 1990 le terre rare sono considerate un bene strategico per lo sviluppo nazionale, il che ha comportato un blocco totale degli investimenti esteri nell’industria estrattiva. Le collaborazioni con società straniere sono pertanto limitate al solo settore della separazione e sono state fortemente contratte, specie in passato, anche le quote relative agli ossidi di terre rare destinati all’esportazione. Tale processo, verificatosi a partire dal 2006, si è reso particolarmente evidente nel 2009, quando il limite di approvvigionamento garantito dall’export cinese era quasi pari a quello del fabbisogno mondiale. L’anno successivo le quote vennero tagliate di un ulteriore 40% e nel biennio 2011-2012 i prezzi raggiunsero valori elevatissimi, aumentando anche più del 300%. Inoltre il blocco sull’esportazione di terre rare messo in essere ai danni del Giappone tra il settembre e il novembre del 2010, pur causando danni marginali, ha rivelato per la prima volta la potenziale fragilità delle catene di approvvigionamento dei Paesi importatori.

Fig. 3 – Le terre rare sono molto importanti anche per il settore della difesa. In un F-35, ad esempio, sono presenti numerose componenti che le contengono

IL MADE IN CHINA 2025: DA ESPORTATORE A IMPORTATORE?

La strategia cinese nel controllo e nell’export delle terre rare è, tuttavia, legata anche all’eradicazione delle attività minerarie illegali e legate al contrabbando, che in passato hanno rappresentato anche il 30% del totale delle esportazioni, oltre a essere responsabili di ingenti danni ambientali. Il rafforzamento delle attività centrali di controllo, così come un consolidamento generale dell’industria di settore, è funzionale agli obiettivi previsti dal piano “Made in China 2025”, che fa perno sullo sviluppo delle industrie nazionali strategiche attive nei settori aerospaziali, del trasporto ad alta velocità e dell’alta tecnologia. Ne deriva la volontà governativa di ridurre il numero di attori attivi nelle differenti fasi di trattamento ed estrazione delle terre rare, da affidare a un ristretto numero di aziende sotto stretto controllo statale, tra cui Northern Rare Earth Group, Ganzhou Rare Earth Group e Guangdong Rare Earth Industry. La nuova direzione strategica di Pechino, per quanto non implichi fluttuazioni nei prezzi delle terre rare, rappresenta comunque un motivo di preoccupazione per i Paesi importatori, specialmente per gli USA. Emblematico è il caso di Lockeed Martin e Boeing, che potenzialmente potrebbero essere vittime di azioni sanzionatorie mirate da parte di Pechino che coinvolgano la fornitura di terre rare, a seguito della massiccia fornitura di armamenti a Taiwan.
Tali politiche strategiche lasciano anche supporre che la Cina diventi essa stessa un Paese importatore. L’aumento della domanda interna e la crescente pressione delle problematiche ambientali hanno infatti reso palese la necessità cinese di guardare all’estero. Ciò è dimostrato dall’operato di Shenge Resources, attiva in Australia, Madagascar, Groenlandia e azionista di minoranza di MP Mine Operations, già impegnata nell’acquisto della miniera di Mountain Pass dalla statunitense Molycorp.

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Di Francesco Lorenzo Morandi. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico