Sei esplosioni simultanee, più altre due avvenute tre ore dopo, domenica 21 Aprile 2019 hanno insaguinato le celebrazioni pasquali della comunità cristiana in Sri Lanka causando almeno 310 morti e centinaia di feriti. I primi sei attacchi hanno colpito tre hotel di lusso nella capitale Colombo e tre chiese. La settima esplosione è avvenuta in un palazzo a Dehiwala, uno dei sobborghi a sud della capitale. A Dehiwala un attentatore nel farsi esplodere ha ucciso tre agenti di polizia arrivati sul posto per perquisire l’edificio. L’ottava esplosione ha provocato la morte del solo attentatore suicida ed è avvenuta a Orugodawatta, altro quartiere della capitale. A colpire sono stati otto attentatori kamikaze, mentre l’attacco all’hotel Shangri-La di Colombo è stato condotto da altri due attentatori suicidi.
Per il Governo di Colombo, gli attacchi sono atti di “terrorismo di matrice religiosa”. La metodologia utilizzata lascia ben pochi dubbi su chi possa aver ha pianificato una strage di così ampie proporzioni. Le indagini sono ancora in corso, ma potrebbero riservare diverse sorprese. Non tanto in merito agli attentatori quanto ai mandanti e ai finanziatori della cellula islamista che ha colpito lo Sri Lanka. A tal proposito vanno segnalate le dichiarazioni del portavoce del governo di Colombo Rajitha Senaratne: «Non crediamo che gli attacchi siano stati realizzati da persone di questo Paese. C’è una rete internazionale senza la quale questi attacchi non sarebbero stati portati a termine».
La tensione naturalmente resta altissima per il timore di altri episodi. Tensione a cui va aggiunto il sospetto che le autorità di polizia non siano in grado di condurre le indagini in maniera appropriata. Tali timori nascono dalle dichiarazioni del capo della Polizia Pujuth Jayasundara. In seguito agli attacchi, Pujuth Jayasundara ha rivelato di essere stato contattato “da un servizio di intelligence straniero” (India ndr). L’agenzia di intelligence straniera lo avrebbe informato che il gruppo radicale islamico National Thowheeth Jamàath (Ntj) avrebbe colpito proprio a Pasqua. Gli avvertimenti sarebbero arrivati già il 4 aprile, come ha dichiarato il presidente Maithripala Sirisena ai giornalisti. Il capo della polizia avrebbe segnalato la minaccia ai responsabili. Ma allora perché il suo allarme è stato ignorato? Il Ministro delle Telecomunicazioni Harin Fernando il giorno dopo la strage ha scritto su Twitter: “Alcuni ufficiali dell’intelligence erano a conoscenza di questo incidente. Quindi c’è stato un ritardo nel prendere misure utili a impedirlo. Ora è necessario agire seriamente per capire perché l’allarme è stato ignorato”. In questo momento nessuna ipotesi può essere scartata, ma non è certo da escludere che all’interno della macchina statale cingalese vi siano personaggi in grado di non far arrivare a destinazione alcune segnalazioni, come d’altronde accaduto nelle Filippine e in Indonesia. Il primo ministro Ranil Wickremesinghe ha infatti detto che il gabinetto è stato tenuto allo scuro delle informazioni. Lakshman Keerthisinghe, analista politico, è andato anche oltre ed ha commentato al giornale Scmp che il Governo ha probabilmente paura di scoprire legami tra il gruppo estremista indicato come responsabile degli attacchi e il proprio gabinetto.
Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità degli attentati, le indagini fin dal primo momento hanno puntato al National Thowheeth Jama’ath, organizzazione salafita che in pochi anni ha aumentato le attività di predicazione in Sri Lanka creando numerosi problemi di sicurezza. Solo nella giornata del 21 aprile le indagini hanno portato all’arresto di ben 24 membri del National Thowheeth Jama’ath, ma la lista potrebbe allungarsi facilmente. Il gruppo è da tempo sotto stretta osservazione. Il segretario generale del Tawheed Jamaa, Abdul Razik, fu arrestato nel 2016 con l’accusa di aver tenuto discorsi incendiari nella capitale e di aver pubblicato post sui social network pieni di frasi contro la maggioranza buddista (70% della popolazione). I suoi strali erano diretti però anche ai cristiani (7.4% della popolazione) e alla minoranza indù ( 12.6%).
Con la nascita del sedicente Stato Islamico e la presenza sempre più attiva di Al Qaeda in Oriente, anche lo Sri Lanka ha dovuto fare i conti con il fenomeno della violenza salafita. Lo Sri Lanka, in particolare, è diventato la meta preferita di alcuni ultrarigoristi militanti islamici malesi addestratisi in nello Yemen. La Dawaa (predicazione) deve aver portato i suoi frutti. Sono nate infatti due comunità governate dalla shari’a, ad Athikkatt e a Malappuram, dove sono state riprodotte le condizioni di vita esistenti in Arabia Saudita nel Settimo secolo. Sia per mancanza di fondi che per l’ostilità del Governo il progetto del National Thowheeth Jama’ath di aprire scuole coraniche ha subito un brusco stop. Allo scopo di superare tali difficoltà materiali gli estremisti islamici hanno iniziato a preferire le autostrade digitali. Sono decine i siti web dove imam salafiti come Abdul Majeed Mahlar, Rahmatullah Firdousi, Ali Akbar Umari, Azhar Seelani, Masood Salafi e molti altri predicano servendosi di strumenti audio e video. In Sri Lanka, inoltre, non sono rare le visite di Zakir Naik, predicatore salafita indiano messo al bando in alcuni Paesi europei per i sermoni incendiari. Zakir Naik è il fondatore e il presidente della Islamic Research Foundation e famoso animatore del canale “Peace TV”, grazie al quale riesce a raggiungere un pubblico di 200 milioni di spettatori.
Secondo le autorità dello Sri Lanka, sono 32 i combattenti cingalesi partiti per il “Siraq”, tutti istruiti e provenienti da famiglie benestanti. Il più noto è Mohamed Muhsin Sharfaz Nilam- Abu Shurayh al-Silani, morto a Raqqa nel gennaio del 2015 durante un bombardamento. A dare la notizia della sua morte fu un altro jihadista dello Sri Lanka, Thauqeer Ahmed Thajudeen- Abu Dhujaana Silani, di cui si sono perse le tracce da tempo. Abu Shurayh al-Silani nel periodo trascorso con l’autoproclamato Stato Islamico si era costruito una certa fama, tanto che la sua morte venne celebrata dalla rivista on line del gruppo Dabiq. Sulla rivista gli vennero dedicate tali parole: «Che Allah accetti Abu Shurayh e abbia pietà di lui e di tutti coloro che hanno dato la vita, la ricchezza e il tempo per la causa di Allah, le cui azioni continuano a ispirare e risvegliare questa Ummah». Per il momento, non è stato reso noto se tutti i foreign fihter cingalesi siano deceduti in battaglia. Qualcuno di loro potrebbe essere rientrato in patria, magari in tempo per colpire la Pasqua dei cristiani.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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