La crisi mediorientale evade i confini siriani e si estende in Libano. Sabato 4 novembre il primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato le dimissioni perché, a suo dire, sarebbe in pericolo di vita a causa di un piano omicida nei suoi confronti studiato dall’Iran e dai suoi alleati di ferro in Libano: gli Hezbollah. Hariri, prima di dimettersi, ha incontrato a Beirut Ali Velayati, consigliere del leader supremo della rivoluzione iraniana Ali Khamenei. Dopo averlo ricevuto è volato in Arabia Saudita dove, di fronte alle telecamere della tv locale al Jadeed, ha annunciato il suo passo indietro puntando il dito contro l’Iran, accusandolo influenzare il Libano seminando «discordia tra i figli della stessa nazione» e «creando uno Stato nello Stato».
Le modalità delle avvenute dimissioni lasciano pensare che il confronto tra Iran e Arabia Saudita, i due principali attori che si contendono l’egemonia sul mondo arabo-musulmano, si sia ormai esteso in tutta la regione mediorientale e abbia nel Libano il suo nuovo epicentro. La cosiddetta “Svizzera del Medio Oriente” è infatti da decenni il terreno regionale sul quale le grandi potenze internazionali si combattono attraverso le milizie locali a loro affiliate per motivi politici, imprenditoriali e religiosi. Se l’Iran è il grande sponsor degli sciiti di Hezbollah, l’Arabia Saudita ha da tempo nella famiglia sunnita degli Hariri i propri rappresentanti.
Nel corso della storia persiani e sauditi si sono a lungo combattuti ma mai attaccati direttamente. Il confronto militare è sempre avvenuto attraverso Paesi terzi. È stato così durante la guerra civile in Libano; nella guerra del 1980 tra Iran e l’Iraq del sunnita Saddam Hussein, sostenuto da Riad e dagli americani; oggi è così nella guerra in Siria e in quella nello Yemen e sembra che il Libano stia tornando a essere la nuova e più pericolosa zona di faglia. Difficilmente infatti Hariri avrebbe potuto prendere una decisione così importante senza l’avvallo dei suoi protettori sauditi. Molti aspetti fanno pensare che dietro il suo gesto vi sia la volontà dei Saud di attaccare l’Iran attraverso il Libano.
La “Svizzera del Medio Oriente” è da decenni il terreno sul quale le grandi potenze internazionali si combattono attraverso le milizie locali. L’Iran è il grande sponsor degli sciiti di Hezbollah, l’Arabia Saudita fa riferimento alla famiglia sunnita degli Hariri
Le dimissioni, infatti, stanno riducendo notevolmente il credito politico di Hariri in patria. Esse stanno innanzitutto compromettendo le sue alleanze politiche. Il presidente della repubblica Michel Aoun, per esempio, si è rifiutato di accettarle proprio per le modalità con cui sono avvenute (dall’estero e per bocca di media stranieri) e ha invitato Hariri a rimpatriare per rassegnarle secondo i protocolli costituzionali. Inoltre la sua fuga in Arabia Saudita ha lasciato la sua comunità, quella sunnita, orfana di un leader generando così malumori interni. Ma soprattutto il vuoto da lui lasciato rischia di generare una crisi politica destabilizzante per tutto il Paese. A rispondere a questo vuoto è stato Hezbollah, l’unica formazione ad avere i numeri e la forza per garantire stabilità istituzionale. Il suo leader Hasan Sayed Nasrallah ha colto la palla al balzo per rivolgersi a tutti i libanesi utilizzando toni concilianti da capo di Stato e ponendo il suo movimento come unica fonte di stabilità interna da contrapporsi al disordine generato dalle mosse dei Saud.
A cosa punta l’Arabia Saudita destituendo Hariri?
Le ipotesi principali sono due. La prima è quella di creare un vuoto istituzionale che destabilizzi il Paese e lo porti verso una conflittualità civile che induca le milizie radicali sunnite presenti sul territorio a unirsi e combattere insieme il comune nemico sciita, dunque Hezbollah. All’interno del delicatissimo campo minato libanese sono ancora numerosi sia i gruppi radicali sunniti che quelli propriamente terroristici, come l’ISIS e il fronte qaedista Al Nusra (oggi a capo di un’ampia coalizione islamista chiamata Hayat Tahrir al-Sham), che controllano alcuni spicchi di territorio e che sono pronti a entrare in azione. Questi gruppi sono spesso in conflitto reciproco, un inasprimento delle tensioni tra sciiti e sunniti potrebbe spingerli all’unità e creare le condizioni perché diventino, nei fatti, le braccia armate per ridurre il ruolo di Hezbollah.
Riad punta a creare un vuoto istituzionale che destabilizzi il Paese e lo porti verso una conflittualità civile che induca le milizie radicali sunnite presenti sul territorio a unirsi e combattere insieme il comune nemico sciita, dunque Hezbollah
La seconda ipotesi, che non esclude la prima, è che i sauditi abbiano deciso di fare un passo indietro per stimolare Israele ad attaccare il Libano. In assenza di una forte opposizione sunnita all’interno del Paese dei cedri la coalizione di Hezbollah potrebbe ottenere un’egemonia tale da far preoccupare il vicino israeliano che da tempo è preparato per una invasione del Libano volta a eliminare la minaccia rappresentata dall’arsenale missilistico di Hezbollah. L’ingresso a tutti gli effetti del Libano nell’asse sciita, che lo renderebbe un vero e proprio satellite dell’Iran confinante direttamente con la cosiddetta Palestina occupata, potrebbe generare una guerra con Israele. In quel caso l’Arabia Saudita riuscirebbe a fare attaccare il proprio grande nemico dal potente esercito israeliano.
La guerra in Siria sta terminando, l’ISIS sta venendo sconfitto come Stato territoriale, Assad sta vincendo. Eppure i mandanti di tutte le parti in causa restano in conflitto reciproco. L’Arabia Saudita si sta trovando in difficoltà in tutti i terreni di scontro in cui è ingaggiata con l’Iran. Ha dovuto accettare la permanenza al potere di Bashar al Assad in una Siria ormai parte dell’asse sciita, è rimasta impantanata nello Yemen in una guerra in cui non riesce a sconfiggere gli alleati di Teheran. Il Libano sembra essere il nuovo tavolo che vuole aprire per espandere questo confronto e cambiarne le sorti. E, con il coinvolgimento israeliano, potrebbe essere decisivo.
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