C’è anche l’ENI nel consorzio internazionale che avvierà le prime esplorazioni alla ricerca di giacimenti off shore di gas e petrolio al largo delle coste del Libano. Insieme alla società di bandiera italiana parteciperanno alla spedizione anche la francese Total e la russa Novatek.
Nel dare la notizia giovedì 15 dicembre il governo libanese ha spiegato che il gruppo è stato l’unico a rispondere a una richiesta di offerte presentata dalle autorità di Beirut. I permessi di esplorazione, ha spiegato il ministro dell’Energia libanese Cesar Abi Khalil, sono stati concessi per due dei cinque blocchi off shore che Beirut ha deciso di aprire alle società estere, il 4° (centro) e il 9° (sud) situati nella zona economica esclusiva del Paese dei Cedri.
I prossimi passi saranno la firma di un accordo ufficiale tra il governo e il consorzio internazionale e, successivamente, l’inizio delle prime esplorazioni che però non dovrebbero partire prima dell’inizio del 2019.
L’intesa, seppur ancora di massima, con Eni, Total e Novatek è una boccata d’ossigeno per il premier libanese Saad Hariri, finito nell’ultimo mese nella morsa della sfida per la supremazia in Medio Oriente tra Arabia Saudita e Iran. Sin dalla sua formazione nel 2016, il fragile esecutivo del primo ministro Hariri si è posto come priorità quella di implementare la produzione nazionale di petrolio e gas puntando su partnership con investitori esteri. Al Libano, d’altronde, servono liquidità ed energia. La rete di distribuzione di energia elettrica fa acqua da tutte le parti a causa della fatiscenza di buona parte delle infrastrutture di trasmissione e della dilagante corruzione che vede coinvolti, ad ogni livello, funzionari del settore.
Guardare al Mediterraneo è stata una scelta suggerita dalle importanti scoperte di giacimenti di gas off shore effettuate recentemente dai vicini Israele e Cipro al largo delle rispettive coste. Non lontano dalla linea di demarcazione che separa le acque libanese da quelle israeliane si trovano due grandi giacimenti di gas individuati negli ultimi anni da Israele, Tamar e Leviathan. Il giacimento di Tamar è stato scoperto nel 2009, è entrato in attività nel 2013 e si stima che possegga riserve pari a 238 miliardi di metri cubi di gas. Leviathan, scoperto nel 2010, inizierà a essere operativo invece dal 2019. Secondo le stime contiene 535 miliardi di metri cubi di gas per la cui vendita sono già stati firmati accordi preliminari con Giordania ed Egitto.
Secondo l’analista Diana Kaissy, che dirige il think-tank “Lebanese Oil and Gas Initiative”, è impossibile quantificare l’estensione delle riserve energetiche off shore accessibili prima dell’inizio delle operazioni di esplorazione. Anche se, stando alle valutazioni preliminari, i cinque blocchi su cui il governo libanese ha accettato offerte – due dei quali, come detto, sono andati al consorzio italo-francese-russo – sono quelli che potenzialmente potrebbero garantire livelli di estrazione più alti. I riflettori sono puntati in particolare sul blocco numero 9, localizzato in acque contese da Libano e Israele.
Stringendo un patto con i colossi energetici di Italia, Francia e Russia, il premier Hariri prova a lasciarsi alle spalle il “novembre di fuoco” che lo ha visto prima annunciare le sue dimissioni da Riad, poi trascorrere alcune settimane nella prigione dorata di Casa Saud, incontrare il presidente francese Emmanuel Macron a Parigi e, infine, ritirare le dimissioni e tornare a Beirut tra polemiche e sospetti.
Difficile però credere che questo accordo, da solo, basterà per rimettere in sesto la disastrata economia libanese e trasmettere stabilità a un Paese in perenne agitazione politica e sociale. Come dimostra l’ultimo mese ad alta tensione trascorso dal premier Saad Hariri.
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