Come definito dalla risoluzione 1701 e 2373 delle Nazioni Unite, tese a garantire la cessazione delle ostilità nel sud del Libano, la Forza di Interposizione UNIFIL svolge una serie di operazioni tra il fiume Litani a nord e la cosiddetta Blue Line, la linea di ritiro della difesa israeliana nel sud del Paese. I peacekeepers operano a sostegno delle Forze armate libanesi (LAF) dal 1982 e hanno la responsabilità di monitorare la cessazione delle ostilità e fungere da meccanismo essenziale per la costruzione della fiducia tra il Paese dei Cedri e lo Stato ebraico. Nell’ottica del rispetto delle risoluzioni, il contingente italiano con l’Operazione Leonte, iniziata nel 2006, è subentrato a sostegno delle Forze libanesi e, dal 2018, ha avviato anche i primi progetti rivolti alla popolazione civile.
Ora i propositi internazionali rischiano di essere nuovamente ostacolati: se da un lato Israele ritiene le milizie libanesi di Hezbollah una minaccia alla propria sicurezza nazionale, dall’altro, dopo la vittoria del partito Hezbollah avvenuta domenica 6 maggio, l’alleanza tra Hassan Nasrallah e il leader iraniano Hassan Rouhani, è vista con sospetto.
L’asse Teheran, Damasco e Beirut
E’ noto che la Repubblica islamica dell’Iran abbia fornito il suo continuo supporto a Hezbollah, sostegno che si è evoluto in un confronto diretto con lo Stato di Israele considerato da Teheran un regime sionista che minaccia la religione islamica. Tuttavia, ad aggravare ulteriormente i precari equilibri ci sono gli ultimi anni di guerra in Siria. Con il rafforzamento dell’asse che collega Teheran, Damasco e Beirut lo Stato di Israele ha temuto il peggio per la sua influenza nell’aerea. Con un governo siriano molto debole il giocatore più influente è attualmente l’Iran, e come sostenuto dal giornalista Claude El Khal “qualsiasi guerra indiretta tra i Israele e Iran potrebbe iniziare in Libano o in Siria e ciò può facilmente trasformarsi in una guerra regionale completa”.
Quali rischi
Israele in diverse occasioni è stato sospettato di perpetrare attacchi contro obiettivi iraniani nei territori siriani, libanesi e contro Hezbollah. Un incidente di questo tipo si è verificato il 30 gennaio 2013 quando i velivoli israeliani avrebbero colpito un convoglio siriano che trasportava armi iraniane all’organizzazione libanese.
Ciò che sembra preoccupare ora Israele non è la vittoria politica di Hezbollah ma il fatto che sia dotato di armi in grado di effettuare attacchi distruttivi contro lo Stato ebraico e missili antiaerei capaci di abbattere i suoi droni. L’ex ufficiale della Difesa israeliano, palesando la propria preoccupazione soprattutto sulla scia del ritiro di Donald Trump dall’accordo nucleare iraniano, in un comunicato del 10 maggio ha riferito che Hezbollah avrebbe 120.000 missili puntati contro lo Stato ebraico e che l’Iran abbia precise intenzioni in Libano e Siria. Benjamin Netanyahu, nella sua prima dichiarazione pubblica sugli attacchi aerei israeliani compiuti contro la Siria lo scorso 9 maggio, ha riferito che “la determinazione di Teheran a reagire contro gli attacchi israeliani, riferiti ai beni militari iraniani in Siria, è parte di un più grande tentativo di dettare “nuove regole del gioco” e Israele deve respingere quelle regole e agire per difendersi”.
E l’UNIFIL?
Pur non conoscendo quali possibili eventi futuri si verificheranno, è probabile che la contesa tra Israele ed il nuovo governo di Hassan Nasrallah, forte dell’intesa con Hassan Rouhani e Bashar al-Assad, ridisegnerà gli equilibri mediorientali e non solo. Alla luce di tal avvenimenti sorgono due quesiti: gli forzi compiuti in Libano fin ora dalla Comunità Internazionale riusciranno a produrre gli effetti voluti? Le operazioni di peacekeeping avranno successo nel limitare le nuove minacce che ostacolano il processo di pace tra Libano e Israele? Per adesso una cosa è certa: se nel 2006 il conflitto libanese-israeliano ha assistito a 34 giorni di ostilità oggi un’eventuale escalation porterebbe a una crisi internazionale molto più grande di quanto ci si possa aspettare.
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