Quale futuro attende la Libia? Per capirlo, serve fare una premessa: «Prevedere il futuro», in termini analitici, non significa poter dire quali eventi accadranno la prossima settimana, il prossimo mese o anche il prossimo anno. Perché il futuro, come ricorda l’urbanista Arnaldo Cecchini citando un racconto di Borges, è «il giardino dei sentieri che si biforcano». Ciò che si può fare è individuare le principali dinamiche in corso che influenzeranno il domani della Libia.
La Libia è destinata a finire sotto il controllo del Generale Haftar?
A dispetto della sua retorica, il Generale Haftar non è ancora così forte militarmente da poter sconfiggere da solo i suoi avversari e riprendere il controllo del Paese. Da qui le continue richieste ai paesi europei (Italia inclusa) di finanziarlo e fornire armi. Il Generale gioca molto sull’immagine di “uomo forte”, ma l’estrema frammentazione del panorama libico fa ritenere alle cancellerie europee che siano ancora necessari accordi diplomatici condivisi che uniscano gli interessi di più fazioni. Il problema, soprattutto per l’Italia, non è banale: affidarsi ad Haftar significa proteggere i propri interessi? Il vero “tesoro” della Libia è il gas naturale e non il petrolio, e quest’ultimo è localizzato principalmente in Tripolitania dove opera l’ENI, e non in Cirenaica dove sta il Generale. In Tripolitania arrivano anche le principali rotte migratorie e sono attivi i principali accordi creati dal Ministro degli Interni italiano per ridurre questi flussi. Roma dunque è interessata sia a evitare un conflitto che non crei problemi alla produzione di gas, sia a mantenere gli accordi attuali prima di affidarli a potenziali competitors come la Francia. Saranno pertanto i rapporti di forza tra gli attori internazionali a determinare quanto il Generale e i suoi avversari combatteranno o, al contrario, riusciranno a trovare qualche accordo.
Con la nomina del nuovo governo, quanto reggerà ancora il “sistema Minniti”?
È evidente come la posizione italiana sia particolarmente rilevante, ancora di più da quando il Ministro degli Interni Marco Minniti (uscente, ndr) ha istituito accordi con municipalità e/o gruppi locali per ridurre i flussi migratori dall’Africa Sub-sahariana verso Italia ed Europa. Il problema è che il sistema creato non è stabile, ma soggetto a un’evoluzione dei comportamenti. Da un lato, le milizie competono tra loro per ricevere i finanziamenti italiani, tanto che in alcune occasioni (ad esempio a Sabratha) due milizie hanno combattuto per prendere il controllo della zona e diventare interlocutori di Roma. Da questo non è esente lo stesso Haftar, interessato a prendere il controllo di alcune aree costiere per aumentare il proprio appeal verso l’Italia. Dall’altro mancano una serie di progetti di sviluppo sociale e infrastrutturale che possano convertire l’economia locale da una basata sui traffici a una fondata su altro. Teniamo presente che, attualmente, viene bloccata l’uscita dei migranti dalla Libia, ma non l’ingresso: le milizie guadagnano anche dai soldi che le famiglie dei migranti inviano sotto ricatto ai propri cari detenuti nei centri. Non esiste dunque un effetto di deterrenza.
In questo scenario l’Italia su quale strategia dovrebbe puntare?
Il risultato è che le milizie hanno un’importante leva nei confronti di Roma: possono in qualunque momento aprire nuovamente le rotte e dunque ricattare l’Italia. L’unico modo per ridurre tale leva è lo sviluppo di nuove economie locali e di politiche per la riduzione della migrazione proveniente dal Sahara. Si tratta di una sorta di “gara” contro il tempo: maggiore è il ritardo nello sviluppo di tali programmi, maggiore rimane il rischio di ricatto o di crollo del sistema. Gli unici accordi possibili sono quelli che garantiranno privilegi e/o redditi alle varie fazioni. Di fatto, ignorare tale dinamica equivale a favorirla. Per l’Italia, fondamentale è prepararsi a tutti questi scenari e influenzarli. Ma queste sono decisioni politiche.
di Lorenzo Nannetti – Il Caffè Geopolitico
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