Libia

Stando a informazioni esclusive riportate su Il Foglio dal giornalista Daniele Raineri, il governo Draghi si prepara ad aumentare di molto l’impegno militare in Libia al fianco dell’esecutivo provvisorio del primo ministro Abdelhamid Dabaiba con un piano ambizioso e coordinato con la Francia. «L’arrivo degli italiani è un aiuto importante, ma anche un segnale diplomatico. Il capo di stato maggiore italiano, Enzo Vecciarelli, due giorni fa era a parlare a Tripoli con il suo omologo libico, Mohamed al Hadad.

La parte più ambiziosa del piano riguarda però il confine meridionale della Libia, da dove arrivano i convogli dei trafficanti che portano i migranti verso la costa, dove poi si imbarcano e tentano la sorte verso le nostre coste, oppure sono bloccati e finiscono nei centri di raccolta, in condizioni disumane», scrive Rainieri, specificando che «l’addestramento della Guardia Costiera libica, che l’anno scorso fu un punto molto discusso del rifinanziamento, sarebbe assegnato alla missione europea Irini, come il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha proposto anche di recente a Lisbona».

 

 

Un punto approfondito sulla situazione in Libia viene riportato nel libro pubblicato il 10 giugno da Paesi Edizioni Naufragio Mediterraneo, scritto da Michela Mercuri e Paolo Quercia, e che verrà presentato a Roma il prossimo 15 luglio al Circolo Sottufficiali della Marina Militare.

Negli ultimi mesi anche la diplomazia internazionale si è rimessa in moto, a conferma di quanto la necessità di un dialogo sia sentita dalle parti in lotta in Libia e anche dai Paesi vicini. Diversi tentativi di abbozzare una road map per un percorso di ricomposizione intra-libico ci sono stati in Marocco, in Egitto e in Tunisia. A metà settembre 2020 Il Cairo ha ricevuto una delegazione dell’Alto consiglio di Stato libico e della Camera dei rappresentanti di Tobruk per colloqui esplorativi. Durante queste fasi negoziali era emersa l’ipotesi, sostenuta dal presidente del Parlamento di Tobruk e dall’Egitto, di emendare gli accordi costitutivi di Skhirat e formare un nuovo Consiglio presidenziale di tre membri, uno per ciascuna delle tre regioni del Paese: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Questo Consiglio presidenziale avrebbe avuto sede a Sirte, la città natale di Gheddafi e che già, per sua volontà, era divenuta sede di alcune delle istituzioni libiche, tra cui il parlamento.

Il processo per la formazione di un nuovo governo transitorio si è concretizzato a Ginevra, il 5 febbraio scorso, con i colloqui sulla Libia che sembrano avere aperto uno spiraglio per i futuri assetti del Paese. I nuovi rappresentanti del Consiglio di transizione libico sono stati eletti nella città svizzera, nella sede delle Nazioni Unite, e ora dovranno traghettare la Libia verso le elezioni, in programma il 24 dicembre del 2021. Abdul Hamid Dbeibah, primo ministro, e Mohammed Menfi, capo del Consiglio presidenziale, considerati due outsider politici fino a pochi mesi fa, dovranno gestire il Paese in una fase molto delicata e ricca di sfide.

LibiaInoltre, ora che il Governo di transizione è stato eletto, con tutte le già menzionate debolezze, resta l’incognita di chi potrebbero essere i candidati (e i vincitori) delle prossime elezioni. Tra i «papabili» nell’ovest, seppure indebolito, resta il nome del ministro dell’Interno Fathi Bashaga, considerato molto vicino ai turchi e per questo gradito da Ankara, ma non dagli attori dell’est. C’è poi il vice premier Ahmed Maitiq, uomo politico e d’affari, esponente di Misurata ma vicino, tra gli altri, a Usa e Italia. Quest’ultima è un figura che potrebbe mettere tutti d’accordo, ma forse non la Turchia che in questo momento detiene il «veto» sull’ovest. A Est il mediatore Aguila Saleh ha l’appoggio di molti attori, tra cui l’Egitto, e ha avuto il plauso dell’intera comunità internazionale per i tentativi di pace discussi con al-Serraj.

Da non escludere anche la possibilità del ritorno di un outsider, nella figura di Saif al Islam Gheddafi. Il figlio prediletto del raìs, che potrebbe aspirare a prendere, soprattutto con il supporto dei russi, il posto dell’oramai decaduto Khalifa Haftar. Secondo fonti tripoline, un aereo russo avrebbe recentemente  condotto Saif da Zintan a Mosca per colloqui riservati al Cremlino. Ciò non deve sorprendere, in quanto il figlio di Gheddafi ha mostrato una certa capacità politica ed era considerato l’erede naturale del colonnello quando ancora le primavere arabe e le bombe della Nato non avevano cambiato le sorti del Paese. Saif è uno dei pochi figli del raìs ad essere sopravvissuto alla guerra del 2011, e forse questo non è un caso. Non appare più in pubblico da tempo, senza dimenticare che su di lui pende una condanna da parte del Tribunale internazionale dell’Aia. Non è però affatto da escludere che potrebbe voler preparare un ritorno in grande stile al momento giusto. Per ora tace. A parlare, semmai, sono i suoi uomini di fiducia, che lasciano intendere che potrebbe essere la persona capace di riportare l’ordine in Libia. Saif sarà il candidato del Fronte popolare per la liberazione della Libia, un movimento politico formato nel dicembre 2016 per liberare il territorio dal controllo delle organizzazioni terroristiche e dalle ingerenze straniere.

Qualunque siano i nomi dei futuri interlocutori libici siamo di fronte a una nuova finestra di opportunità per la pace nel Paese, come ce ne furono già nel 2011 e nel 2014. È vero che fino a oggi i numerosi tentativi di creazione di un governo unitario con successive elezioni si sono dimostrati fallimentari. Ma è anche vero che queste sono sempre state delle soluzioni calate dall’alto e in modo unilaterale, a cominciare dalla Conferenza di Parigi del 2018 in cui Macron aveva proposto una sua personalissima road map per le elezioni libiche. A differenza del passato, ci sono più margini per arrivare a una soluzione di maggiore ownership libica che, adeguatamente pilotata dalla comunità internazionale e compatibile con gli interessi delle grandi potenze, possa tirare fuori la Libia dalla palude geopolitica in cui è precipitata. Per questo motivo sarà necessario un impegno comune di tutti gli attori interni e internazionali. Un banco di prova, forse l’ultimo, per le istituzioni internazionali fin qui mai in grado di proporre un approccio concreto, consapevole e coordinato. Un nuovo governo e la prospettiva di vere elezioni, uniti a una ripresa dell’economia libica, potrebbero aprire la strada a un futuro diverso per l’ex Jamahiriya e, forse, alla ripresa di rapporti più stretti con l’Italia.

Tratto da
Naufragio Mediterraneo
di Michela Arcuri e Paolo Quercia