Negli ultimi anni molto si è detto e poco si è fatto di veramente decisivo per favorire il processo di stabilizzazione della Libia. Il 2018 si è chiuso con un attentato al Ministero degli Affari Esteri libico, rivendicato dall’ISIS. Quale sarà il futuro del Paese?
1. UN 25 DICEMBRE DI SANGUE
La Libia sembra non trovare pace. A pochi giorni dalla fine del 2018, il 25 dicembre, un attentato esplosivo ha provocato alcuni morti e diversi feriti al Ministero degli Affari Esteri libico, gettando ulteriori ombre sul processo di pacificazione del Paese. Sin dall’inizio l’attacco, condotto tramite un’autobomba e tre attentatori carichi di esplosivo, è sembrato un’operazione terroristica pianificata e progettata per colpire degli obiettivi dall’alto valore simbolico. Uno schema operativo riconducibile a un attore che continua a far percepire la propria presenza nell’area: il sedicente Stato Islamico. Il 26 dicembre l’ISIS ha rivendicato la paternità dell’attacco, il cui obiettivo, il Governo libico di Fayaz al-Serraj, è stato accusato di apostasia a causa dello stretto legame e dellacollaborazione con organizzazioni internazionali che, dopo l’accordo di Skhirat, ne hanno riconosciuto la legittima autorità sulla Libia.
2. ISIS e IL JIHADISMO: UN OSTACOLO PER LA STABILITÀ
Lo scacchiere libico costituisce un luogo particolarmente adatto per la proliferazione delle organizzazioni criminali e il sedicente Stato Islamico non fa eccezione. In seguito alla guerra civile libica del 2011 e nell’ottica della creazione del Califfato, l’ISIS ha stabilito proprio in Libia la sua terza capitale, Sirte, e occupato parte delle province del Fezzan, della Cirenaica e della Tripolitania. Il Paese ha costituito un importantissimo centro strategico, operativo, logistico e per il reclutamento di militanti. Dopo la progressiva perdita di territori in Siria e in Iraq, l’ISIS ha subito diverse sconfitte anche in Libia, dove, nel 2016, la roccaforte di Sirte è stata liberata. Oggi l’ISIS controlla delle porzioni di territorio concentrate nelle zone desertiche del Sud della Libia e le sue fonti di finanziamento sono rimaste le stesse: il traffico di migranti, di droga e, infine, di petrolio di contrabbando. La presenza jihadista in Libia non si esaurisce con l’ISIS, ma è testimoniata anche dall’esistenza di altri gruppi terroristici, come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico e Ansar al-Sharia. Queste entità si spartiscono zone di influenza sul territorio, cercando di accaparrarsi il maggior numero di risorse da utilizzare per l’autofinanziamento. In termini tattici e operativi la strategia seguita è basata essenzialmente su tre elementi: controllo del territorio, operazioni offensive progettate e attuate contro obiettivi sensibili e dall’alta risonanza mediatica, alleanza con i gruppi filo-jihadisti locali. Certamente i gruppi jihadisti hanno in comune anche un altro elemento e cioè quello di essere un fattore di forte instabilità per il futuro della Libia, ancora sull’orlo del caos.
3. UN IMPREVEDIBILE FUTURO
Il consistente numero di attori coinvolti a livello nazionale, gli interessi contrapposti e poco chiari da parte dei Paesi impegnati nella vicenda, il ruolo e il peso critico delle milizie non permettono di fare ipotesi plausibili sul futuro libico. Quel che si auspica è l’effettiva implementazione delle linee d’azione esposte da Ghassan Salamè, inviato dell’ONU in Libia, poco prima della Conferenza di Palermo e che possono essere sintetizzate in tre punti. Il primo prevede la costituzione di una forza di sicurezza in grado di sostituire le milizie nella protezione di Tripoli. Il secondo, relativo alla stabilità economica del Paese, invita le Autorità libiche a rivedere la distribuzione della ricchezza, per garantire un’equa opportunità di accesso alle risorse. Il terzo punto, infine, attiene all’assetto istituzionale e prevede, fra le altre iniziative, l’indizione di elezioni politiche, previste per la prossima primavera. Questi tre obiettivi possono essere portati a compimento solo attraverso un’intensa attività di conciliazione degli interessi contrapposti a livello nazionale e un continuo monitoraggio della comunità internazionale. Quest’ultima, infine, per poter effettivamente supportare il processo di stabilizzazione della Libia dovrebbe, innanzitutto, definire in maniera chiara quali sono le proprie priorità reali nei confronti della Libia stessa, in maniera da avere una cornice strategica comune, unica ed efficace.
Sara Cutrona
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